1. Per iniziare… raccontaci qualcosa di te, qualcosa che vorresti che i nostri lettori sapessero prima di entrare in contatto con il libro che hai scritto.
La volontà di evoluzione continua e costante, di apprendere dalle esperienze, positive o negative che siano. Il mio essere letteralmente allergico alla staticità e agli spazi chiusi.
2. Dovendo riassumere in poche righe il senso del libro “Transizione forzata” cosa diresti?
Il senso del libro è che per crescere bisogna soprattutto rivoluzionare sé stessi. È vero che a volte, a causa degli eventi, per quanto ci sforziamo siamo costretti a “cedere”, però possiamo sempre accettare le situazioni che la vita ci riserva con consapevolezza, conservando almeno la libertà di decidere come affrontarle. E in fin dei conti è la vita che ce lo richiede, perché è un continuo mutamento.
3. Nel tuo libro il protagonista della storia ha una rivoluzione nel momento in cui il suo migliore amico muore. Quindi tu credi che ci sono persone che hanno bisogno di un grande evento, spesso tragico, per venire allo scoperto e rimettere a posto la propria vita?
Il protagonista, già dalle prime battute, comprende che qualcosa deve cambiare nella sua vita, ma ancora non è pienamente consapevole di cosa voglia in realtà. La scomparsa dell’amico non farà altro che accelerare questa sua transizione e, per alcuni versi, forzarla.
Sì, nella maggior parte dei casi credo che eventi “forti” diano più input per riflettere su noi stessi e analizzare l’ambiente in cui viviamo. In particolare, gli eventi tragici, legati alla vita e alla morte, ci spronano, ci scuotono e se ne sappiamo cogliere il lato positivo emergono nuove prospettive di crescita.
4. La cattiveria e il menefreghismo verso il prossimo che molte persone ostentano, secondo te è frutto di problemi irrisolti con se stessi? E la società può intervenire in qualche modo per cambiare il corso degli eventi?
Credo di sì, derivano dal non sentirsi bene, in pace con noi stessi e questo lo riflettiamo all’esterno; spesso proiettiamo al di fuori, nel rapporto con gli altri, il nostro stato interiore anche se involontariamente. Una persona positiva, solare, che sta bene sia in compagnia sia nei momenti di solitudine e che cerca di vedere le cose in maniera positiva, non è capace di certi atteggiamenti. Tuttavia, per alcuni tali caratteristiche di cattiveria e menefreghismo penso che siano purtroppo innate.
La società potrebbe avere un ruolo fondamentale favorendo un clima sereno già a partire dalle relazioni pubbliche, intendo quelle tra cittadini e rappresentanti delle istituzioni, e dovrebbe creare le condizioni per facilitare pari opportunità per tutti, quindi la libertà di scelta di ognuno, per costruire società con persone che vivono più in armonia tra di loro.
5. Cosa vorresti che il lettore riuscisse a comprendere leggendo il libro? Quale significato non del tutto esplicito vorresti potesse cogliere?
Che la vita è mutamento e che modificare le nostre convinzioni, nel momento in cui ci rendiamo conto di aver sbagliato, è importante. È stupido non cambiare un’idea in cui abbiamo sempre creduto, se ci accorgiamo rivelarsi controproducente. Per questo ritengo fondamentale interrogarsi su noi stessi e sul perché di certi atteggiamenti e situazioni che ci troviamo a vivere. Non bisognerebbe sforzarsi di rimuovere gli eventi negativi, piuttosto assimilarli per poterli superare.
Il significato non del tutto esplicito è che a volte anche il nostro egoismo muta, non diventando per forza spirito di condivisione e che tale trasformazione nonostante tutto può giovare a noi e alle persone che ci circondano.
6. Da dove nasce l’idea del tuo libro “Transizione forzata”?
L’idea nasce dalla passione per la scrittura, di poter trasmettere messaggi per me importanti attraverso la narrazione di una storia. Per “Transizione forzata”, in particolare, mi sono ispirato a un contesto post adolescenziale dove il protagonista vive il passaggio verso la prima età adulta e dove è necessario che sia lui stesso a cercare nuovi stimoli.
7. Qual è il romanzo che ha “rivoluzionato” la tua vita conducendoti alla scrittura?
Non ce n’è uno in particolare. Per mia indole non ho libri, film, musicisti, cibi preferiti in assoluto rispetto ad altri. Per ogni romanzo che ho letto ho riscontrato aspetti specifici diversi, con peculiarità che mi hanno fatto riflettere in determinate fasi della vita. Mi vengono in mente quelli più rilevanti già a partire dalle scuole medie come “Il barone rampante” o “La collina dei conigli”.
Il primo perché anch’io adoravo arrampicarmi sugli alberi e mi ha colpito la tenacia del protagonista nel portare avanti la propria protesta; il secondo mi piaceva per la costruzione societaria edificata dai conigli e le loro vicissitudini. Poi crescendo ho apprezzato altri libri come “Terra” di Benni oppure “Amrita” che rimane uno dei miei preferiti di Yoshimoto. Benni per la fantasia precisa e meticolosa, quasi realistica e Yoshimoto per la descrizione dei personaggi che a volte sfocia nel mistico. Ultimamente sto leggendo la Munro “Il sogno di mia madre” e mi sta colpendo il suo modo di unire complessità stilistica e semplicità narrativa.
8. Quale libro non consiglieresti mai a nessuno?
Non ce n’è uno, libri che non sono piaciuti a me potrebbero interessare ad altri. Mi sentirei di sconsigliare solo un romanzo che propaganda sentimenti negativi fini a sé stessi e per fortuna ancora non l’ho letto.
9. Adesso è arrivato il momento per porti da solo una domanda che nessuno ti ha mai fatto, ma a cui avresti sempre voluto rispondere…
Bella domanda. Che influenza ha il teatro per Nico, il protagonista?
Ha un ruolo fondamentale perché Nico si confronterà con persone diverse da lui per età, background, caratteristiche personali e si renderà conto che in un modo o nell’altro queste persone possono stare bene insieme. Tale aspetto lo aiuterà nel suo percorso di riflessione e di crescita. Una nuova esperienza da cui trarrà senz’altro beneficio visto che lui sin dall’inizio sente di dover interpretare nella sua vita reale il ruolo del cattivo, come se fosse il personaggio di un dramma.