Di cosa parla “I cacciatori di libri” di Raphael Jerusalmy
L’ex agente dei servizi segreti israeliano Raphael Jerusalmy con il suo libro “I cacciatori di libri” ci porta al Medioevo, fondendo in un’unica storia il thriller, il fantasy, il romanzo storico e molto altro.
C’è da fare subito una premessa: il libro non è per nulla di facile lettura, Jerusalmy fa salti temporali che ci conducono avanti e indietro, senza farcene rendere conto subito, e presenta sempre nuovi personaggi. La lettura de “I cacciatori di libri” diventa quindi a tratti ostica, ma dimostra comunque quanta ricerca c’è alle spalle e quanto l’apporto di idee dello scrittore sia notevole.
Se dal titolo ci aspettiamo la centralità dei libri, di sicuro non verremo delusi, così come sempre per lo stesso motivo l’avventura preannunciata dalla parola “cacciatori” non viene disattesa.
La storia, ambientata nel Quattrocento in Francia, comincia con un personaggio ambiguo, François Villon, il poeta condannato a morte durante il governo di Luigi XI. Prima di subire la sua condanna Villon ha un incontro con il vescovo Chartier che gli fa una proposta allentante.
In cambio della sua libertà gli verrà assegnato un incarico importante, una missione segreta che lo condurrà a Gerusalemme dove farà la conoscenza dei cacciatori dei libri. Personaggi appartenenti a una confraternita che commerciano sia con il Vaticano sia con i Medici.
È il re ad assegnare questa missione delicata, legata ai libri, con l’intento di rafforzare il proprio potere a danno del Vaticano.
Seppur si abbia dall’inizio la sensazione che ci sia qualcosa di enorme dietro la proposta del vescovo Chartier, con una posta molto alta in gioco, solo lentamente si comincia a delineare la situazione e si comprenderanno gli ambigui e oscuri rapporti che intercorrono tra la confraternita, il papato, l’occidente e i potenti.
Per quanto “I cacciatori di libri” di Raphael Jerusalmy sia un libro che mostra la cultura e la capacità narrativa dello scrittore, ho trovato il romanzo carente della componente emozionale, così come manca l’approfondimento caratteriale dei personaggi, che entrano in scena senza riempirla realmente.
La scrittura accurata in questo caso non è sinonimo di bellezza, ma sembra solo far sfoggio di sé, mentre l’intreccio narrativo è ben congegnato, ma di difficile interpretazione: in molti passaggi ci si sente disorientati e persi, come se da lettori non si fosse all’altezza della storia.
Forse “I cacciatori di libri” è una di quelle storie adatte agli eruditi e meno al lettore comune.