Di cosa parla Gli anni di Annie Ernaux
Ho comprato Gli anni di Annie Ernaux quasi un anno fa e da allora mi aspettava nella libreria. Sapevo che mi avrebbe subito affascinato ma volevo prepararmi ad accoglierlo al meglio; ed è arrivato il momento giusto.
Quella de Gli anni è stata una lettura-fiume, un percorso ad ostacoli nella Storia, perché la scrittrice francese mischia vita privata e storia pubblica così da realizzare un arazzo del Novecento. Sì, proprio un arazzo, come quelli giganteschi che raffigurano pezzi di cronaca lontana in cui ci si imbatte nei castelli medievali.
Annie Ernaux racconta la sua esistenza in un’autobiografia impersonale dove l'”Io” è nascosto nella terza persona e spesso scivola nel “Noi collettivo” che aleggia per tutto il romanzo, come la voglia di scrivere e di farsi testimone.
L’avvio della memoria è affidata alla descrizioni di fotografie in bianco e nero, in seppia, a colori, dove la pelle all’inizio è liscia e tirata fino, poi, al rigarsi con le rughe per lo scorrere del tempo in cui il soggetto è una ragazza, una donna, dai capelli lunghi a metà tra il biondo e il rosso, cresciuta nel nord della Francia e che cammina attraverso gli eventi decisivi della storia.
Punti fissi che scandiscono la narrazione sono le Elezioni Presidenziali che fanno da spartiacque tra l’età di De Gaulle, che nell’immaginario sarebbe stato eterno, e l’età di Mitterand, piena di speranze ma anche di illusioni.
Campeggia in posizione centrale il Maggio Francese che si riverbera per tutti i decenni successivi e che poco ha cambiato nella politica di governo ma molto ha influito nella società e nella cultura con l’apertura verso la critica di Roland Barthes, la musica di Georges Brassens, la rivista Tel Quel, la concezione strutturalista e ha radicalmente cambiato la vita dei giovani studenti che si affacciavano alla vita in quegli anni, tra cui Annie per cui “il 1968 era il primo anno del mondo”.
La scrittura de Gli anni è semplice e comunicativa, si fa sempre più carica di ricordi con il susseguirsi dei paragrafi e risalta in controluce l’eleganza di una prosa contemporanea e viva.
Come capita sempre, tra un anno dimenticherò la trama del romanzo e rimarrà soltanto il gusto che ho provato una volta sfogliata l’ultima pagina e chiuso il libro. Ma, nello stesso tempo, avrò da pensare ad una frase che è la stessa che la scrittrice, da ragazza, riscrive sul suo diario leggendo Sartre: “esistere è bersi senza avere sete”. Un suggello perfetto.
Recensione scritta da Matteo de Mitri