Recensione e commento del libro L’altro posto
L’altro posto è il nuovo romanzo di John Ajvide Lindqvist, pubblicato nel 2018 dalla casa editrice Marsilio.
Un cubo di mattoni di dodici quadri, in cortile, dove la luce stentava ad entrare, sempre che non fosse nuvoloso. Era l’abitazione in affitto nel centro di Stoccolma dove John si era trasferito a 19 anni, a vivere da solo, per coltivare la sua passione di artista di strada.
Faceva il mago, nella città vecchia. Questo romanzo parzialmente autobiografico di un adesso adulto John Ajvide Lindqvist – L’altro posto, edito da Marsilio, 2018, 314 pagine, 18.50 euro – è il sequel indipendente di Musica dalla spiaggia del paradiso (Marsilio, 2015), proposto a suo tempo come un prodotto di genere piuttosto indecifrabile ma di grandissimo successo, a testimonianza della validità dello scrittore svedese.
A rivelarlo al grande pubblico internazionale è stato il bestseller Lasciami entrare (Marsilio, 2006), un horror, con tanto di ragazzina vampiro, che ha meritato anche una trasposizione cinematografica, anzi due: prima una produzione svedese nel 2008, poi un remake americano, nel 2010.
Per quel titolo l’autore venne salutato come lo Stephen King scandinavo, qualifica confermata dall’accoppiata di titoli, perché anche il maestro del terrore di Portland nella sua alluvionale narrativa non ha disdegnato la letteratura fantastica e trascurato il mistero e le situazioni spiazzanti care al Linqvist della “spiaggia” metafisica.
Trama del libro L’altro posto
Tornando al nuovo romanzo, L’altro posto, è il caso di insistere sulla casetta in affitto, già di per sé claustrofobica, immersa nel buio del cortile.
Questo costringeva il ragazzo a vivere nell’oscurità ininterrotta, nei sei mesi di residenza in quel mini vano, impreziosito per modo di dire da un lavello, un fornello con due fuochi e un cubicolo di due metri quadri, che pretendeva d’essere un bagno, per via della tazza senza tavoletta e del lavandino sporco. Un insieme desolante, anche per il tanfo di fumo e microcriminalità lasciato dagli inquilini precedenti.
Eppure John dice che la sua carriera di scrittore del terrore è nata grazie a quella casa, affittata senza contratto. La deve a quello che accadde lì dentro.
La sua passione di sempre era la magia. Prestidigitazione, micromagia, giochi con carte e monete. Era davvero abile con le dita, questione di allenamento continuo, fin dall’adolescenza. Nelle gare si piazzava sempre tra i primi: due volte secondo nel Campionato nordeuropeo juniores.
Aveva trovato un vecchio telefono in quella casa. Le telefonate partono subito, in piena notte. Una voce maschile. Chiede di Sigge. “Tutti conoscono Sigge”, dice. Non John, però. L’uomo gli domanda del suo lavoro. “Ti addestri a fare giochi di prestigio? Cosa vuoi ottenere?”. E butta giù.
Il giovane è colpito dalla telefonata e d’impulso, nottetempo, comincia a scrivere il racconto di un bambino nel bosco. E continua, dopo l’incontro con due vicini, che non sembrano affatto dei tipi ordinari.
L’uomo, in completo con giacca, entra nella lavanderia del caseggiato per fare il bucato, con un cesto dei panni sporchi pieno di mutande e camice piegate perfettamente, “prima” d’essere lavate. La donna, appena più cordiale, si accompagna a un nipotino sui sette anni che si fissa ostinatamente i lacci, insensibile al più irresistibile dei giochi, la classica moneta estratta dall’orecchio. Altra materia d’ispirazione per il suo racconto.
E che dire dell’accattone con la camicia stirata e i mocassini da commercialista? E quella canzone, che sembra uscire dal muro tra l’abitazione e il tunnel di Brunkeberg? Tutto trasferito nel racconto, che una forza insolita lo spinge a scrivere.
Squilla il telefono. Quella voce. Cerca ancora di Sigge. Segue una conversazione che ha qualcosa di surreale, come quello che accade intorno al ragazzo. Chiunque incontra sembra preoccupato dalla pressione. Dice che aumenta, è in costante aumento.
Trama seconda parte del libro L’altro posto
In alternanza alle vicende del diciannovenne, c’è il racconto del terrore che sta scrivendo e che prende corpo, capitolo dopo capitolo, nelle pagine in corsivo. Inquietante.
Ancora più inquietante per John è la lavanderia, vi si avverte una sensazione di pericolo. Sul soffitto, sopra la vasca, nota una crepa, dalla quale fuoriesce una sostanza viscida, come il muco che nel suo racconto cola dal naso del bambino nel bosco.
È a questo punto, passando dalla guardina dove John finisce in arresto con l’accusa di furto, che la storia prende la piega metafisica di cui si diceva.
La gelatina nera e la crepa nella lavanderia con uso di doccia comune, sono una specie di porta di comunicazione che interrompe il continuum spazio temporale, unendo punti diversi. Gli inquilini l’attraversano per finire in un’altra dimensione. Quale? Ma quella del romanzo precedente. L’altro posto. Un “non tempo” e “non luogo”, dove si può essere diversi, a piacimento.
Ci si sta bene, anche se non si capisce dove si sia diretti. Potrebbe perfino essere la felicità. In cambio, non serve molto, un po’ di sangue, per cominciare.
E dove si andrà a finire? Lindqvist non è uno scrittore al quale si può mettere il sale sulla coda. Per questo va letto, entrando nel suo mondo, anzi, nei suoi mondi.
Recensione libro scritta da Massimo Valenti
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