Trama, recensione e commento libro C’è un sole che si muore. Racconti gialli neri da Napoli e dintorni
Napoli capitale del noir. Non si direbbe, ammirandola in una delle sue giornate di luce, affacciata sul mare azzurro nel quale si specchia questa città confusa e colorata. Ma provate a camminare col buio nei vicoli dei Quartieri Spagnoli o anche nella centralissima Riviera di Chiaia, con quelle chianche scure, i muri scrostati, l’oscurità in agguato negli androni dei vecchi palazzi.
Atmosfere quanto mai adatte a C’è un sole che si muore. Racconti gialli neri da Napoli e dintorni, antologia a cura di Diana Lama e Paolo Calabrò, pubblicata nel 2016 da il Prato Edizioni (Saonara, Padova, 234 pagine 12 euro).
Dire giallo, nella metropoli partenopea, è dire Napoli Noir, l’associazione, sito (www.napolinoir.com), consorteria di autori di narrativa poliziesca condita con sagge dosi di horror, fantasy-scienza e mistero. E dire NapoliNoir è dire Diana Lama, una delle fondatrici e anima del gruppo. Giallista? Certamente. Scrittrice? Anche e di lunga e premiata carriera, con riconoscimenti ai suoi racconti ed ai suoi romanzi.
Non sarebbe però cronisticamente corretto ignorare che la dottoressa, anzi, la professoressa Lama è medico, specialista in chirurgia del cuore e dei grossi vasi, docente universitaria e titolare di cattedra nel secondo ateneo di Napoli, dove lavora nella Divisione di medicina interna geriatrica.
Al suo fianco, sulla copertina della raccolta di racconti, c’è Paolo Calabrò, altro giallo dipendente da sempre, però di formazione e professione umanistica. Laureato in Scienze dell’informazione e in filosofia, è un sostenitore degli equilibri avanzati tra la disciplina millenaria di Platone, Aristotele. Kant e la letteratura, il cinema, l’arte noir.
L’associazione di giallisti partenopei è attiva da dieci anni, ma l’antologia C’è un sole che si muore. Racconti gialli neri da Napoli e dintorni è il primo prodotto cartaceo.
Trama libro C’è un sole che si muore. Racconti gialli neri da Napoli e dintorni
Questo libro raccoglie undici racconti inediti giallo-neri, privilegia ambientazioni estive della città e dintorni (anche Salerno, il Cilento, la Terra di Lavoro, quella dei fuochi, Caserta…), mette insieme oltre ai due curatori altre nove firme, tutte narrativamente note nella scrittura di genere e non.
In ordine di apparizione dei loro racconti, sono Luciana Scepi, insegnante pubblicista, narratrice; il medico legale e co-sceneggiatore di fiction TV poliziesche Ugo Mazzotta; la scrittrice italotedesca Sybil von der Schulenburg; lo sceneggiatore di film, telefilm e fumetti Francesco Costa; il capo redattore del Mattino Vittorio Del Tufo; Piera Carlomagno, altra giornalista esperta in comunicazione, laureata in cinese; Alessandra Pepino, che lavora nel mondo della comunicazione, dello spettacolo, della produzione multimediale; lo sceneggiatore cinematografico e regista Riccardo Fabrizi; l’architetto scrittore Diego Lama.
Tutti testi brevi ma compiuti, a cominciare dalla sorte meritata da quel tale Gigino. Si tratta del co-protagonista del primo racconto, a firma di una Diana Lama in gran spolvero. La sua scrittura è serenamente ma inesorabilmente affilata e contempla la pena capitale per i “malamente”, sebbene la condanna venga eseguita insolitamente a getti di olio bollente in cucina e colpi di taglio di padella inglese. Dieci-quindici, uno dopo l’altro, la moglie Checchina non sa precisare, ma che importa, è stata una faccenda pulita, poco sangue, pochissimo.
Seconda parte trama libro
Quello, Gigino, era un vero “fetiente”. Non legava con nessuno, disprezzava la compagna di una vita intera e l’aveva trascurata anche sessualmente, perché “l’ommo è ommo e la donna deve fare la femmina, zitta e muta!”. Un egoista patologico, un uomo irascibile, impossibile, dittatoriale, misogino e misantropo, però la nemesi è in agguato perfino nei racconti gialli. Ora gli toccherà stare per sempre nella spiaggia, dove resisteva poco e male col suo carattere scontroso, solitario. Bambini e vicini d’ombrellone non si manterranno più a debita distanza, respinti dal modo tutto suo di scoraggiare anche il più estroverso e invadente.
Se prima quegli invadenti gli stavano sui cog….ni adesso si sdraieranno letteralmente sopra di lui, a loro insaputa e per la placida soddisfazione di Checchina.
È il primo degli undici noir e forse abbiamo spoilerato troppo. Colpa di Diana, che ha fatto centro con una short story di valore, un piccolo giallo elegante che si avvia verso un finale magari annunciato, ma decisamente liberatorio, tanto per la moglie dell’odioso Gigino che per i lettori.
Per quanto riguarda gli altri racconti, meglio cucirsi la bocca e frenare la lingua, basterà dire che Calabrò si misura con una vendetta attesa a lungo, che ricorda nel finale un capolavoro di Edgar Allan Poe, con uso insolito per un barile di ottimo vino ammontillado, uno sherry.
Detto che baristi di Luciana Scepi non hanno granché dimestichezza con i cocktail inconsueti, il “fatto del carro funebre” conduce un singolare investigatore privato, specializzato nel ramo assicurativo, a risolvere il mistero del cadavere bruciato nella bara, quale unico danno visibile in un sinistro stradale che ha coinvolto il furgone di una ditta di onoranze.
La von der Schulenburg accompagna i lettori nella pizzeria “o’ Scarrafone” e alla via così, tra cappe di caldo afoso che incombono e situazioni al limite del gotico.
Una precisazione: la citazione di Allan Poe non è per niente casuale. Paolo l’ha cercata, riconosce allo scrittore statunitense il merito d’avere inventato l’intero genere noir.
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