La redazione del sito Recensione Libro.it intervista lo scrittore Andrea Scaricamazza autore del libro “Giorni di un presente corrosivo”
Dovendo riassumere in poche righe il senso del tuo libro “Giorni di un presente corrosivo”, cosa diresti?
Direi che il senso del libro è il trauma, in questo caso la perdita del lavoro, come epifania del malessere esistenziale. Da qui il sentimento del peso dell’essere nel mondo, il tormento dell’esserci, ma anche la voglia di liberarsi di questa gravità anelando a uno spicchio di felicità e a un po’ di bellezza.
Da dove nasce l’ispirazione che ti ha indotto a raccontare questa storia di declino della società ma anche di possibilità di rinascita grazie ai rapporti e alle relazioni?
L’ispirazione pura è nata dopo che mi sono liberato da quello che io definisco un fantasma, un rimpianto. Ho avuto il coraggio di dichiarare quello che provavo a una persona del mio passato. È stata una palingenesi personale, ma ne è scaturita anche una delusione di fronte al suo non voler tornare indietro a un trascorso vissuto solo a metà. Un dolore indubbiamente positivo che è stato il propulsore che mi ha fatto scrivere di getto la storia di Flavio. Volevo raccontare quello che in parte conoscevo: il lavoro come dignità, ma anche come strangolamento; l’amore con le sue passioni, ma anche con le sue incomunicabilità e impossibilità; una società basata solo sul ciclo perverso della produzione, del consumo, della prestazione, dello sfruttamento del ricco sul povero; un mondo in cui la fortuna conta più della retorica sulla fatica e sul talento; l’amicizia come famiglia; gli incontri casuali e fortuiti che possono essere salvifici.
Cosa vorresti che i lettori riuscissero a comprendere leggendo le tue parole? Quale segno vorresti lasciare in loro?
Quando scrivo non penso mai di intrattenere chi legge, ma ho l’intento di suscitare emozioni e di spingere alla riflessione.
Se un mio lettore riflette su ciò che ho scritto o prova un’emozione, che sia negativa o positiva, vuol dire che ho lasciato un segno. Ho sempre pensato che una frase ben scritta che trafigga la pancia, il cuore o la testa del lettore sia molto più apprezzabile di mille inutili e stancanti descrizioni.
C’è qualcosa che avresti voluto aggiungere al libro, quando lo hai letto dopo la pubblicazione?
Sinceramente no. Penso che il libro, pur nella sua brevità, racchiuda tutta la completezza che cercavo.
Se dovessi utilizzare tre aggettivi per definire “Giorni di un presente corrosivo”, quali useresti?
Tagliente, realistico, romantico.
Perché credi si debba leggere il tuo libro?
Perché è un viaggio sorprendente e non banale sull’altalena della vita. Mette a nudo un personaggio con le sue debolezze e le sue potenzialità, mettendo a nudo anche il lettore. Flavio puoi amarlo o detestarlo, puoi desiderarlo come amico o sperare di non incontrarlo mai, ma sicuramente non ti lascerà indifferente.
Qual è il libro che hai letto quest’anno che ti ha più colpito e consiglieresti?
È un libro che ho avuto il piacere di rileggere, in realtà. Parlo delle “Memorie di Adriano”. È l’unico testo che, credo, sia stato capace di tradurre la poesia in prosa. È un libro che sembra ispirato da una dimensione o entità ultraterrena: inaccessibile per molti lettori, irraggiungibile per qualsiasi scrittore.
Adesso è il momento di porti una domanda che nessuno ti ha fatto ma a cui avresti sempre voluto rispondere.
La domanda è: Perché scrivi?
La risposta è che scrivo per dimenticare la parte che meno mi piace del mio Io per ritrovare me stesso, il vero me stesso; e ho l’ambizione che chi mi legga possa rispecchiarsi – anche solo in parte – in quello che esprimo e possa a sua volta ritrovarsi. È come una carezza desiderata, un abbraccio inaspettato, una mano tesa quando ti senti solo.