La redazione del sito Recensione Libro.it intervista la scrittrice Mariachiara Oliva autrice del libro “La sera è l’inizio del giorno”
Dovendo riassumere in poche righe il senso del tuo libro “La sera è l’inizio del giorno”, cosa diresti?
È una domanda piuttosto complicata per coloro che, come me, non sono dotati del dono della sintesi. Ad ogni modo, riassumerei “La sera è l’inizio del giorno” come un viaggio a ritroso di più anime nel dolore. Una sofferenza che accomuna tutti i protagonisti, tale da restituire l’immagine di un’unica voce, vale a dire quella dell’universalità di tale condizione emotiva sebbene affrontata – o meno – in modalità di procedere differenti. È il buio prima della sperata luce, è la sera prima di un agognato giorno.
Da dove nasce l’ispirazione che ti ha portato a scrivere questa storia di sofferenza, di solitudine ma anche legami?
L’idea è nata a Bologna nella prima settimana di quarantena durante la pandemia da Covid-19, quando l’isolamento forzato ha causato – o per alcuni favorito – un riavvicinamento con la propria dimensione spirituale e rallentato la fuga che a volte mettiamo in moto proprio da noi stessi, probabilmente per difenderci da ciò che si è soliti definire mostri interiori. La lentezza, che ha scandito questo nuovo modo di sentire lo scorrere del tempo, mi ha portato a ripercorrere con lo scettro dell’immaginazione strade che ho attraversato per lunghi anni e amato profondamente, vale a dire quelle del quartiere del Pigneto a Roma e della città eterna in generale.
L’ispirazione nasce proprio da questi posti, nello specifico dai bar in cui ero solita andare a scrivere poesie alla sera e dalla varietà di fauna umana in essi contenuta. Sono molto attratta dai dettagli e dalle particolarità delle persone, sfumature che catturano la mia attenzione a tal punto da portarmi dietro volti di sconosciuti ancora oggi nel mio presente. Volti a cui ho provato a dare voce in questa mia narrazione di solitudine ma anche di legami autentici che abbiamo modo di intrecciare soltanto rare volte nella vita.
Cosa vorresti che i lettori riuscissero a comprendere leggendo le tue parole? Quale segno vorresti lasciare in loro?
Vorrei che si sentissero meno soli nel loro dolore, qualunque esso sia. Ogni sofferenza ha il diritto di essere urlata nelle modalità che si ritengono più opportune. Ogni dolore ci contraddistingue per ciò che siamo stati, siamo ora e diventeremo nel futuro in questa maratona chiamata vita. La nostra unicità probabilmente risiede in quei meccanismi di sopravvivenza che ci rendono simili e dissimili allo stesso tempo, nel tentativo di riconoscerci nella visione di uno specchio comunitario: io esisto anche attraverso il tuo sguardo. Che sei tu, che sono io, che siamo noi, che siamo gli altri.
C’è qualcosa che avresti voluto aggiungere al libro, quando lo hai letto dopo la pubblicazione?
Ad essere estremamente sinceri, l’uscita del libro invece di innescare in me uno stato di euforia, al contrario ha causato attimi – percepiti come un’infinità – di dubbi, incertezze e un’insana voglia di cancellare tutto e scrivere ogni cosa daccapo. Forse perché si tratta della mia prima prova nell’ambito del romanzo, mi sono trovata in estrema contraddizione con me stessa, situazione fastidiosa da cui sono uscita grazie al riscontro positivo e alle delicate parole che ho ricevuto dai miei primi lettori: ognuno di loro ha trovato in almeno un
personaggio, la propria voce. E questo per me è di fondamentale importanza.
Altro ausilio – di non secondario rilievo – recitato come un mantra in quel periodo, è stato un passo di “Canto di me stesso” di Walt Whitman: “[…] Il passato e il presente avvizziscono – io li ho riempiti e svuotati,/E mi appresto a riempire la prossima cavità del futuro./ Tu che ascolti lassù! Che hai da confidarmi?/ Guardami in faccia, mentre fiuto l’avanzare furtivo della sera,/ (Parla sinceramente, nessun altro ti udrà, io resto solo un minuto)./ Mi contraddico?/ Ebbene sì, mi contraddico, / (Sono spazioso, contengo moltitudini.)/ Mi concentro sui più vicini, resto sul limitare della porta./ Chi ha compiuto la sua giornata di lavoro? Chi sarà il più veloce a finire la cena?/ Chi desidera camminare con me?/ Vuoi parlare prima che io sia partito?/ Vuoi cimentarti quando è troppo tardi?[…]”.
Se dovessi utilizzare tre aggettivi per definire “La sera è l’inizio del giorno”, quali useresti?
Userò gli aggettivi che più ho ascoltato da parte di coloro che hanno letto il romanzo: cinematografico, ansiogeno – commovente, profondo.
Perché credi si debba leggere il tuo libro?
Io non credo che il mio libro debba essere letto da tutti, reputo che vada da solo verso coloro a cui deve giungere fra le mani. Sono questi ultimi, questa cerchia ristretta che mi porta ad affermare che nel dolore e nella solitudine risiede la vera poesia. Poesia che rende le nostre anime affini.
Quali sono i tuoi prossimi progetti in fatto di scrittura?
Si tratta di un nuovo capitolo di ciò che vorrei diventasse una trilogia della sofferenza iniziata proprio con “La sera è l’inizio del giorno”. L’intreccio è ispirato da una storia vera, raccontatami da un mio caro amico novantenne e bolognese doc, riguardante la situazione e la vita tormentata dei bambini cresciuti in orfanotrofio durante e nel secondo dopo guerra, ovvero l’esistenza di coloro che venivano tristemente definiti “bastardini”. Il mio augurio è che riesca a procedere nella scrittura, nonostante le innumerevoli interruzioni dovute agli impegni di ogni giorno.
Qual è il libro che hai letto quest’anno che ti ha più colpito e consiglieresti?
Quest’anno non sono stata rapita da alcuna lettura in particolare, ma in riferimento allo scorso anno ci sono due romanzi che mi sento caldamente di consigliare: “Bambino bruciato” di Stig Dagerman e “Una vita come tante” di Hanya Yanagihara. Entrambi riescono a trasformare in poesia un dolore come se fosse scritto sul corpo nel crepuscolo della vita. Pura magia, autentica commozione.
Adesso è il momento di porti una domanda che nessuno ti ha fatto ma a cui avresti sempre voluto rispondere.
“Ma il tuo libro di cosa parla esattamente?”. Domanda che non troverà, però, alcuna risposta da parte mia. Sono ancora in attesa del lettore che sarà in grado di spiazzarmi.