Intervista scrittrice Sabrina Guerrieri

Intervista autrice Sabrina Guerrieri.
Campane tibetane di Sabrina Guerrieri
In questa pagina sono presenti link affiliati
Compra su amazon.it

La redazione del sito Recensione Libro.it intervista la scrittrice Sabrina Guerrieri autrice del libro “Campane Tibetane”

Dovendo riassumere in poche righe il senso del tuo libro “Campane tibetane” cosa diresti?

Il libro racconta la vita dove, di solito, nulla è come immaginiamo che sia. Difatti, ci racconta di un amore fraterno infranto e di una famiglia lacerata in cerca di un riscatto che non troverà mai. Rodolfo non è il figlio né il fratello ideale, eppure fa parte della loro vita e la completa nonostante tutto. Marcello ha frequentato Rodolfo in un arco temporale lungo, eppure lo trova diverso, mai uguale a se stesso. Da bambini giocavano presso il fiume Lanterna e la cascatella Lanzada, si coprivano le spalle, erano affiatati e la facevano in barba ai genitori; da grandi andavano insieme a fare trekking scalando il monte Des’giascia eppure, non si conoscevano affatto. La verità è che non ci conosciamo mai fino in fondo e nemmeno gli altri hanno la medesima percezione di noi.

“La vita, a volte, ci cambia dentro; sono le esperienze che facciamo, gli amici che incontriamo e con i quali instauriamo relazioni più o meno durature e intense, le occasioni perse, le debolezze e i punti di forza a definirci e forgiarci nel carattere”.

Da dove nasce l’ispirazione che ti ha portato a raccontare di lutto, di ricostruzione, di viaggi e di crepe interiori?

Tutti noi attraversiamo una fase dolorosa e difficile durante la nostra vita e spesso non siamo preparati ad affrontarla. Il dolore che non si può evitare, quello che si deve percorrere fino in fondo, soprattutto se è intenso e inatteso, ci lascia indifesi e nudi come neonati di fronte al mondo, e ci costringe a cambiare pensieri, abitudini, modi di essere… alla fine non siamo più noi. Qualcuno dice che il dolore rende migliori perché umanizza, nonostante tutto. Quando mio marito morì, dopo un anno di cruda sofferenza fisica e psicologica cambiai. Cambiai ancora quando venne il turno di mia madre. Non furono morti tranquille, trapassi naturali e quasi inavvertiti. Furono come tempesta che si abbatte sulla tua casa con lampi e tuoni e fulmini.

Fu incendio e devastazione. Alla fine rimase solo il silenzio. La ricostruzione è lenta e difficile, certi strappi non si possono riparare mai del tutto, le ferite lasciano il segno però il tempo cura e ho trovato che il viaggio possa dare sollievo, non solo se si compie in senso metaforico. Allo stesso modo, la storia di Marcello, devastato dal dolore per la perdita inattesa del fratello, prevede un momento di pausa, una pace interiore ricercata e trovata in terra straniera. Non è, come può sembrare a prima vista, una distrazione, un viaggio di piacere.

Forse, l’uomo è alla ricerca di una verità che non trova, o più semplicemente alla ricerca di sé stesso che si è perso dentro quel dolore più grande di lui. La vita di Marcello si era ristretta notevolmente in fatto di visite, uscite e birre da condividere con gli amici del Gruppo della Musica. Si era dissipato in lui ogni fervore, anche l’ispirazione creativa ne aveva risentito. In certi giorni la sua mente vagava nel ricordo di Rodolfo, in altri l’animo piombava in un’atmosfera di sicura apatia.

Cosa vorresti che i lettori riuscissero a comprendere leggendo le tue parole?

Non vorrei fare da maestrina a nessuno. Ogni persona che legge il mio romanzo deve trovare nella storia il suo senso, il suo personalissimo modo di sentire. Vorrei solo evidenziare il fatto che non possiamo fuggire da noi stessi, dai nostri sensi di colpa. Un’azione riprovevole porta con sé delle conseguenze, un prezzo che nonostante tutto bisogna pagare.

“Era il fatto di dover mentire così frequentemente che lui non riusciva più a sopportare. Quella terribile notte, la notte dell’assassinio, aveva agito d’impulso sotto la spinta dell’orgoglio ferito, perché l’altro aveva calpestato con viltà ogni sentimento puro che covava in petto per rubargli l’amore, sacrificandolo all’altare del piacere e della perversione. Si stupiva di non aver mai conosciuto suo fratello fino in fondo, oppure di non aver avvertito in lui farsi strada il cambiamento perché, quand’era un ragazzo, se lo ricordava buono, generoso, altruista e idealista”.

Cosa ti piace di più di ciò che hai scritto? Una frase, un particolare, un capitolo, un concetto, un personaggio?

Secondo me, i primi incontri ˗, quelli che decreteranno il seguito della storia d’amore ˗, affascinano sempre. Il lettore resta sospeso, in attesa degli eventi futuri. Ancor di più lo scrittore che, mentre si racconta, mette in campo sentimenti e coinvolgimenti passati. Il primo incontro fra due anime è quello che coinvolge maggiormente perché è il più ricco di sfumature ed è quello che resta impresso nella mente per molto tempo.

Numerosi sono i fattori che ce lo fanno ricordare: l’intonazione della voce, l’intensità dello sguardo, le movenze del corpo, gli odori che saturano il naso, i colori e le immagini che colpiscono la retina, i sapori che associamo agli altri sensi. A volte i detti popolari — “sento le farfalle nello stomaco, ho le palpitazioni al cuore, i brividi sulla schiena, mi tremano le gambe”— e i proverbi, ci azzeccano; sono la saggezza dei vecchi adottata universalmente anche dalla contemporaneità: “amore a prima vista, colpo di fulmine”. Ma questi fenomeni esistono davvero? C’è un proverbio arabo che dice: “Chi non sa comprendere uno sguardo, non potrà capire lunghe spiegazioni”.

Vestito di tutto punto, l’uomo si specchiò esprimendo soddisfazione, poi chiuse la porta dietro di sé e, intenzionato a raggiungere il bar di fronte, scese di corsa le scale, strette a tal punto che, incrociando una ragazza che al contrario stava salendo, dovette dividere con lei quello spazio risicato. A quel punto, fu costretto a guardarla in viso, mentre sentiva la schiena strisciare rasente il muro. Per una frazione di secondo ebbe la sensazione che lei si sporgesse oltremodo dalla ringhiera malferma: c’era un elevato rischio che precipitasse di sotto.

Fu così che, in un gesto istintivo di protezione, cercò di afferrarla per un braccio senza riuscirci fino in fondo. Piuttosto, ne ottenne un fruscio, al contatto con i veli dell’abito. Nel frattempo, la misteriosa dama si era già dileguata dietro una porta. Avevano però lasciato una traccia in memoria i suoi grandi occhi neri, profondi e melanconici, e i capelli corvini intrecciati che le scendevano sulle spalle, pervasi da un’essenza vellutata di miele e limone. Marcello ebbe la sensazione di volersi abbandonare a una più intima conoscenza con la perfetta sconosciuta. “Eppure, non è proprio questo il fascino dell’Oriente?” pensò fulmineo.

Avresti voluto aggiungere qualcosa al libro quando lo hai letto dopo la pubblicazione?

È difficile essere critica con se stessi. In questo libro ho messo tutta la sensibilità e il calore umano di cui ero capace, perlomeno ho cercato di trasmettere emozioni. Non so se ci sono riuscita! Era mia intenzione mantenere una prosa chiara, fluida, e con la capacità di suscitare immagini in chi lo legge. Con il senno del poi, forse, avrei voluto caratterizzare meglio la figura di Alisha e della sua famiglia d’origine.

Se dovessi utilizzare tre aggettivi per definire “Campane tibetane” quali useresti?

I tre aggettivi che mi vengono in mente all’istante sono: “Competizione, Illuminazione, Rimorso”.

La competizione fraterna è quella più comune ed è provocata generalmente da uno scontro fra personalità, da un sentimento di inferiorità che un soggetto prova nei confronti di un altro e dall’incertezza nell’affermare il sé. La competizione per assicurarsi l’amore e l’attenzione di entrambi i genitori, o di uno in particolare, è motivo di scontri, ripicche, litigi verbali e fisici, mobbing e altro ancora. La gelosia e l’invidia sono leve motivazionali pericolose e potenti che possono condurre ad azioni riprovevoli come appunto l’omicidio.“Eppure, di Rodolfo gli era rimasto impresso anche quel lato giocoso che a lui invece non apparteneva e che spesso gli aveva invidiato”.

L’illuminazione interiore è il risveglio da una fase di oscurità, pena e sofferenza indicibili. Dunque, è comune che a una fase di sofferenza ne subentri una di relativa quiete se non di felicità. Marcello sente dentro di sé la musica che aveva perduto. È come se la musica stessa diventasse personaggio a sua volta e lo consoli: “Dapprima erano note mute, senz’anima, solo rumori e stonature, poi presero corpo altre sonorità come fischi, trilli e campanelli, e alla fine comparve la musica”.

Il rimorso prende le sembianze di un fantasma che lo viene a tormentare di notte, un’essenza lattescente dispettosa, un’energia soprannaturale di cui non sa liberarsi, che lo tormenta nel sonno e da sveglio. “Per un po’ gli comparvero dinanzi strani fenomeni soprannaturali; per esempio, vedeva materializzarsi dal nulla il volto del fratello mentre era impegnato in un’ipotetica conversazione con lui oppure gli appariva di notte, sotto forma d’incubo, che lo veniva a svegliare chiamandolo per nome”.

Perché credi si debba leggere il tuo libro?

Penso che il libro possa far riflettere sull’importanza del nostro agire. Ogni azione che noi facciamo determina delle contromosse non prevedibili né controllabili, senza considerare i cambiamenti cui ci sottoponiamo per paura di essere giudicati e condannati. La morale insita in ciascuno di noi, i concetti antitetici di bene e di male, non sono mai stati così pericolosamente intercambiabili come lo sono adesso. C’è un momento nella storia in cui Marcello pensa di aver fatto bene a uccidere il fratello, di aver sradicato un male maggiore rispetto all’atto dell’omicidio che ha compiuto.

Quale romanzo hai letto quest’anno che ti ha maggiormente colpito e consiglieresti?

Ci sono dei romanzi che ti travolgono e ti portano dentro la storia nonostante non siano attuali ma testimonianza di un passato che abbiamo visto solo in TV o vissuto in prima persona dentro le pagine di un libro. L’ho riletto più volte e non smetterò di leggerlo per non dimenticare: “Se questo è un uomo” di Primo Levi.

Come seconda opzione, ma non certo per importanza, “Il piacere” di D’Annunzio. Per me è stata una vera scoperta, un uomo che ama muovendosi tra due entità, quella sensuale e l’altra più effimera, dell’amore spirituale.

Adesso è arrivato il momento di porti una domanda che nessuno ti ha mai fatto ma a cui avresti sempre voluto rispondere.

La domanda che nessuno mi ha posto finora è la seguente: “Perché hai iniziato a scrivere romanzi?”. Tempo fa mi dedicai a scrivere articoli professionali per una rivista a tiratura nazionale di carattere sanitario. Forse, era già dentro di me questa voglia di continuare il lavoro di scrittura, anche se non ne ero consapevole. Le motivazioni che mi hanno finora trattenuto sono tante: oltre alla mancanza di tempo per lavoro e una famiglia da portare avanti, c’era la paura inconfessata di non esserne all’altezza. Oggi, posso dire che scrivere è un “vero e proprio lavoro” su se stessi in primis, e poi studio, formazione, sacrifici, notti perse e ancora studio senza smettere mai.

Ringrazio la redazione Recensionelibro.it che mi ha dato l’opportunità di presentare il mio libro al grande pubblico.

Condividi che fa bene

Recensione scritta da

Redazione - Recensione Libro.it

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.