“Mussolini finto prigioniero al Gran Sasso” è il libro di Vincenzo Di Michele in cui l’autore espone la sua teoria revisionistica sugli eventi che portarono alla liberazione di Benito Mussolini dopo l’armistizio dell’8 settembre del ’43.
In “Mussolini finto prigioniero al Gran Sasso” Vincenzo Di Michele ricostruisce i fatti di quei giorni rifacendosi alle testimonianze inedite di alcuni pastori abruzzesi presenti al Gran Sasso durante la prigionia del Duce. L’autore del libro sottolinea come gli eventi lascino intendere che quando i paracadutisti tedeschi arrivarono alla prigione del Duce, non trovarono alcuna resistenza da parte dei carcerieri italiani.
Sono molti gli elementi che Di Michele pone come basa della sua versione dei fatti: dalla mancata reazione dei militari italiani, che non spararono neanche un colpo di pistola per fermare i tedeschi, alla scelta di non spostare il prigioniero in un luogo più sicuro.
Nel libro “Mussolini finto prigioniero al Gran Sasso” Vincenzo Di Michele sottolinea come il Duce potesse essere facilmente portato sull’altro versante del Gran Sasso per evitarne la “liberazione”. L’autore documenta la presenza di tre persone invitate dal Tenente Alberto Faiola, Comandante dei Carabinieri del corpo di guardia al Gran Sasso, proprio per mettere in atto questa strategia.
Per quale motivo i carcerieri di Mussolini non fecero niente per evitare la sua liberazione? Di Michele sostiene che il Duce fu consegnato alle truppe tedesche in seguito a un reciproco interesse tra le parti: Badoglio e il Re da un lato e Hitler dall’altro. Molti sono i documenti che Di Michele propone a sostegno della tesi espressa in “Mussolini finto prigioniero al Gran Sasso”, ma le dichiarazioni di Nelio Pannuti, agente di guardia al Gran Sasso nel 1943, sono sicuramente tra le più interessanti.