Di cosa parla Addio alle armi di Ernest Hemingway
L’edizione originale del romanzo Addio alle armi di Ernest Hemingway fu edita negli Stati Uniti nel 1929, la traduzione ufficiale italiana risale invece al 1945, mentre nel 1943 abbiamo quella clandestina di Fernanda Pivano vietata dal regime fascista per motivi politici.
L’opera Addio alle armi è il prodotto dell’esperienza personale di Hemingway fatta al fronte durante la Grande Guerra, quando prestò servizio nella Croce Rossa americana ed ebbe una fugace relazione sentimentale con l’infermiera Agnes von Kurowsky.
Il protagonista della storia è un valoroso tenente americano, Frederick Henry, che all’inizio si arruola come volontario nell’esercito italiano.
Nei primi capitoli traspare lo spirito interventista dell’uomo-combattente, poi man mano, in un crescendo di avvenimenti dolorosi, Frederick scopre il vero volto della guerra, la sua crudeltà.
Quella crudeltà che unisce vincitori e vinti e che non conosce giustificazioni perché è ammantata solo di distruzione.
Il racconto nel suo procedere conosce una ventata di ottimismo.
Infatti, l’avventuroso Frederick s’innamorerà di un’infermiera inglese che solo le vicissitudini della guerra terrà allontani.
I due si ritroveranno a Milano, quando lui ferito sarà curato amorevolmente da lei. Poi scoprirà che la donna amata è incinta e così sarà pronto a coronare il suo sogno d’amore.
Suspense e colpi di scena si susseguono nel romanzo Addio alle armi, soprattutto quando il protagonista della storia dovrà ritornare nuovamente al fronte, dove riuscirà a fuggire alla disfatta di Caporetto.
Come disertore raggiungerà la fidanzata a Stresa e insieme troveranno riparo in Svizzera.
Il libro non ha un lieto fine, purtroppo, eventi drammatici segneranno la vita di Frederick Henry.
Il romanzo vuole insegnarci quanto strana, mai scontata o prevedibile possa essere la vita, con i suoi giochi sottili e le sue inevitabili coincidenze.
Durante la narrazione abbiamo un’evoluzione dei personaggi, che crescono insieme alla storia che si chiude con un velo di pessimismo esistenziale.
Nel 1957 dal libro di Ernest Hemingway è stato tratto l’omonimo film diretto da Charles Vidor.
Recensione scritta da Concetta Padula