Trama, recensione e commento libro Arrowood di Mick Finlay
Mick Finlay, una ne pensa, cento ne combina. Prima di scrivere il romanzo Arrowood, pubblicato in Italia da HarperCollins (giugno 2018, 384 pagine, 18 euro), ha fatto davvero di tutto.
Ha lavorato in un circo, ha gestito una bancarella a Portobello Road, è stato macellaio, portiere d’albergo, assistente sociale. E quale attività credete che eserciti al momento, prevalentemente (sempre che la fortuna incontrata come neo autore di crime novel non lo dirotti verso la narrativa a tempo pieno)? Non ci arrivereste mai.
È docente accademico di psicologia, esperto in violenza politica, persuasione, disabilità, comportamento verbale e non verbale. Imprendibile anche geograficamente: nato a Glasgow, è cresciuto in Canada, ma vive a Brighton con la famiglia. Impossibile mettergli il sale sulla coda.
Il genere di Arrowood, suo primo lavoro, è classificabile come crime storico. Ha riscosso un grande successo in tutto il mondo, apre una serie e sarà presto portato sul piccolo schermo.
Trama libro Arrowood di Mick Finlay
Londra, 1895. “Quell’idiota di Sherlock Holmes. Dovunque guardo, non si parla che di quel ciarlatano!”. Mr William Arrowood è ancora più in disordine del solito. Il gin in eccesso lo rende semplicemente intrattabile.
Cranio bitorzoluto, occhio sgranati, capelli schiacciati sulla testa, radi e sporchi, gestualità esasperata, scatti di rabbia. Mai abbassare la guardia davanti a lui: è tutto un volare di oggetti, c’è da fare attenzione.
Ex giornalista, alcolista non pentito e psicologo autodidatta, si considera l’investigatore privato migliore di Londra. Altro che quel bellimbusto di Sherlock. Indubbiamente, Holmes è considerato il cervello più in gamba del pianeta, ma deve tutto al suo assistente, il Dott Watson, che lo rende popolarissimo scrivendo e vendendo i racconti che esaltano i casi risolti.
È per questo che a Baker Street si affolla una clientela generosa,mentre al suo rivale in bolletta e tuttavia vero e unico genio anticrimine (Arrowood nutre una grande considerazione di se stesso), restano i clienti meno abbienti, che non si possono permettere la costosa consulenza del duo Holmes-Watson.
Anche Arrowood ha un assistente, Norman Barrett, che nutre ammirazione per il principale e ne racconta casi e pregi, senza però risparmiare i difetti. Tanto che l’io narrante di questo romanzo è proprio il segretario-tuttofare del detective low cost di South London.
È a Barrett e al suo divertente modo di raccontare che si deve, perciò, l’irresistibile simpatia che i lettori provano per questo investigatore presuntuoso e comunque capace, irascibile come Braccio di ferro, ma arguto quanto il suo tanto più agiato concorrente londinese.
Eppure, non lo invidia affatto, dice, anzi, gli fa pena.
Sherlock lavora per deduzione. Coglie minuscoli indizi, li prende in attenta considerazione e ne trae grandi conclusioni, “spesso clamorosamente sbagliate”, a dire del rivale in carriera. Qualora però questi indizi dovessero mancare, il rischio di fare cilecca è tanto alto che quel sopravvalutato è costretto a negarsi. Arrowood sostiene che sia questa la ragione per cui Holmes rifiuta tanti casi quanti ne accetta. È che non conosce la gente, perché quando mancano indizi, occorre guardare alle persone. Carpire la gente. Interpretarla.
Seconda parte trama Arrowood
Lo studio disordinato di casa Arrowood è pieno zeppo di trattati di psicologia.
“Lavoro con le emozioni, non con le deduzioni”, spiega Mr William alla signorina Cousture, che lo incarica di risolvere il mistero della scomparsa del fratello Thierry.
Erano insieme a Londra, lei per esercitare la professione di fotografa, che a Rouen le veniva interdetta, lui perché costretto ad allontanarsi dal posto di lavoro in Francia, una pasticceria, con l’accusa di aver rubato nel negozio.
Occupato come cuoco in un ristorante londinese, qualche sera prima aveva raggiunto la sorella visibilmente impaurito. Le aveva chiesto dei soldi, per tornare al più presto a Rouen. Lei li aveva negati, non volendo restare sola a Londra. Da quel momento, non l’ha visto più.
Venti scellini al dì, pagamento anticipato di cinque giorni nel caso di persone scomparse, questo l’onorario del detective alternativo. Ma Arrowood è restio ad accettare l’incarico, avrebbe bisogno di soldi come dell’aria, ma per lui è più importante nascondere l’indigenza che lo spingerebbe a tendere la mano e a prendere al volo il denaro.
Dice alla ragazza di tornare quando sarà certa che il fratello non sia rintanato da qualche parte con una bella sottana. Lei, però, insiste. Lui accetta.
E qui c’è il primo di non pochi colpi di scena. Thierry lavorava per un locale di Stanley Cream, il capo della più pericolosa banda criminale dei dintorni. Guai in vista.
E quando Caroline va via, Arrowood fa cenno a Barnett: “quella donna è una bugiarda…”.
Recensione libro di Massimo Valenti
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