Di cosa parla il libro “Don Chisciotte della Mancia” di Miguel de Cervantes
Il libro “Don Chisciotte della Mancia” scritto da Miguel de Cervantes consta di due volumi.
Nella prima parte, il Cervantes ci spiega che l’intero romanzo è stato tradotto dall’arabo perché incuriosito dal contenuto di un manoscritto acquistato al mercato di Toledo.
L’autore inserisce l’idalgo Don Chisciotte in una realtà quasi immaginaria, dove viene a rispecchiarsi un mondo intessuto di prosa e poesia, impregnato di scene cavalleresche e pastorali.
Nel libro si gioca molto sul senso della realtà e dell’immaginifico, molto spesso si confonde il mondo del lettore con quello del protagonista, l’oggettivo lascia spazio al soggettivo.
Don Chisciotte è un cavaliere errante ma viene dipinto come un personaggio goffo, inesperto, quasi pazzo, per cui tutte le sue imprese sono predestinate al fallimento.
Trama libro di Miguel de Cervantes
“Don Chisciotte della Mancia” è un’opera quasi illusoria, in cui emergono dal fondale marino, come chimere, le allucinazioni del protagonista.
Man mano, andando avanti nella lettura, questi germi di follia assumono i connotati di una vera e propria pazzia.
Traspare, nell’analisi del protagonista, il senso del comico.
Don Chisciotte è tratteggiato dal Cervantes con linee e sfumature di stravagante ilarità e giubilo. Infatti, nella prima parte del romanzo esce da ogni avventura sempre perdente, sconfitto con “busse” e “legnate”.
Il savio Sancho Panza, il suo scudiero, è la sua spalla fedele in questo mondo di comicità e stravaganza. È l’alter-ego in una realtà sempre travisata.
Sancho innaffia il suo padrone con spruzzi di lucidità, sprazzi quasi infantili, perché si lascia sempre convincere del contrario dal suo padrone.
Il raccomandarsi costantemente e, di tutto cuore, alla sua dama Dulcinea del Toboso, il galoppo del fido Ronzinante, la ricerca di avventure che lo portino a diventare cavaliere e gli conferiscano la gloria e il possesso di terre lontane (per il suo scudiero Sancho), sono chiaramente la caricatura di una vita, il mondo cavalleresco, in cui l’eroe si è formato non per esperienza personale ma perché infarcito di letture bizzarre sul mondo dei cavalieri.
Egli, a detta dei suoi paesani, il curato e la serva di casa, ha dilapidato tutti i suoi averi per l’acquisto di questi romanzi, infanti i suoi conoscenti si augurano che gli torni la ragione facendo un grande falò di queste opere.
Commento libro “Don Chisciotte della Mancia”
Lo stile adoperato dallo scrittore Miguel de Cervantes è lento e prolisso. Non si addice alla rapidità e al modo convitato in cui si svolgono gli eventi. La seconda parte del romanzo Don Chisciotte della Mancia è superiore alla prima, perché Don Chisciotte è ormai diventato un personaggio famoso, celebre per le sue stravaganze.
Non viene deriso e maltrattato, anzi tutte le persone con cui viene a contatto lo stuzzicano, lo punzecchiano, lo assecondano nelle sue pazzie per poter così deriderlo e divertirsi di più.
Il bello del libro è dato dall’alone immaginario che si crea ogni qual volta si chiude un’avventura.
Cosa accadrà dopo, girando la pagina?
Ci sarà un’altra inevitabile sconfitta, annunciata e per questo ridicola.
Il lettore conserva il tempo e il modo di poter spaziare con la fantasia perché non gli vengono presentate le imprese epiche di un grande eroe come Achille o la scaltrezza di un astuto Ulisse. C’è solo goffaggine in Don Chisciotte.
Il cavaliere della triste figura, dopo il risveglio da una febbre rovente, invoca la sua stessa morte, dichiara di essere tornato in sé, di aver ritrovato il senno.
E poi… si confessa e muore.
E con lui muore anche il libro, muore questo viaggio compiuto circa 500 anni fa, in cui si fonde il possibile con l’impossibile.
Don Chisciotte è la caricatura del suo stesso ideatore?
Alla fine del libro “Don Chisciotte della Mancia”, queste due realtà-verità sembrano confondersi, accavallarsi, lasciando in tutti noi libertà d’interpretazione.
Recensione scritta da Concetta Padula