Di cosa parla “Il mestiere di vivere” di Cesare Pavese
“Il mestiere di vivere” è una raccolta di pensieri che lo scrittore Cesare Pavese ha intrattenuto con se stesso dal 1935 al 1950.
Quest’opera è stata pubblicata postuma, nel 1952, da Italo Calvino allora promettente scrittore e Natalia Ginzburg, un’altra figura di primo piano nel panorama letterario italiano del Novecento.
Questo diario che Pavese inizia a scrivere durante il confino a Brancaleone Calabro è stato ritrovato, dopo la sua morte, tra le sue carte in una cartellina logorata dal tempo, con la scritta: Il mestiere di vivere.
Pubblicata da Einaudi, ha un forte riscontro di pubblico.
Trama libro “Il mestiere di vivere” di Cesare Pavese
I pensieri del Pavese sono intrisi di coraggio e umiltà, di un incessante amore che rivolge alla cultura classica e moderna, infatti alcune volte vengono riportate intere pagine in francese e in inglese. In lui, dopo un’attenta analisi storica, nasce la consapevolezza che: “L’arte e lo scrivere non sono mestieri. Almeno in quest’epoca.”
Crede fermamente che: “In qualunque momento, lo scrittore deve poter dire: no, questo non lo scrivo cioè, avere un altro mestiere.”
Scrittore laico e razionale, vede la vita come un percorso pregno di felicità, e questa felicità può essere avvalorata solo dalla morte cioè dal suicidio che egli agogna durante tutti gli anni della sua intensa vita, ma che cade quando: “Più il dolore è determinato e preciso, più l’istinto della vita si dibatte.”
Compie scelte di vita molto forti, dettate dalla sua ideologia anti-fascista.
Al contempo, le fatiche politiche e letterarie le compie sempre dettate da uno spirito di grande umiltà.
Nella sua vita non aleggia mai lo spirito di consapevolezza che un’unica donna possa condividere con l’uomo-scrittore lo stesso destino.
Egli, infatti, si ritrova: “La sera seduto davanti allo specchio per tenermi compagnia.”
Conclusioni libro
Sembra quasi che solo la sua immagine riflessa sia in grado di comprenderlo. Di farlo sentire meno solo in una realtà umana e quotidiana nella quale la lotta che compie risulta vana e incomprensibile a molti. Riversa alla donna con pensieri continui e incessanti, carichi di moralità, di voglia di tepore domestico che si confonde con “l’impotenza” di non averne nessuna al proprio fianco.
Tutto il suo mondo viene a infrangersi contro gli scogli della solitudine umana e quotidiana, e forse per questo che compie un gesto estremo… non per orgoglio…
Dello stesso autore leggi la recensione del libro “La casa in collina”.
Recensione scritta da Concetta Padula