Intervista allo scrittore Andrea Campucci
1. Dovendo riassumere in poche righe il senso del tuo libro Plastic Shop cosa diresti?
Direi che si tratta di una semplice canzonatura del mondo dei centri commerciali, senza nulla togliere alla loro utilità economica o sociale. A interessarmi, in particolare, è stato il nesso che lega i concetti di pornografia e consumo, e che sostanzia il romanzo dall’inizio alla fine. Si tratta comunque di discorsi vecchi come il mondo e ci terrei a prendere le distanze da una semplice critica del consumismo un po’ come si è sempre fatto dagli anni sessanta in poi.
2. Da dove nasce l’ispirazione per questo romanzo in cui tutto sembra legato al consumismo e dove i valori reali sembrano aver perso d’importanza?
Nasce da alcune esperienze fatte direttamente sul campo perché, lo confesso, anche a me piace vestirmi bene. Ma di solito le mie incursioni in questi territori non durano più di cinque minuti. In genere faccio il possibile per entrare in un negozio con le idee chiare, procedere all’acquisto e fuggire senza dare troppo nell’occhio, salvo poi accorgermi che quello che ho comprato è tutto il contrario di ciò che avevo pensato all’inizio. Comunque per rispondere alla sua domanda, non penso che i valori reali abbiano PERSO d’importanza. Ho il sospetto che mai, nel corso della storia, siano esistiti dei paradigmi etici in cui l’uomo si sia rispecchiato del tutto. Mi piace pensare che non c’è niente di nuovo sotto il sole, e che in definitiva nulla sia cambiato dai tempi del Satyricon di Petronio.
3. Cosa credi abbia spinto le persone a diventare quasi ossessionati da acquisti non essenziali e fine settimana trascorsi nei centri commerciali e outlet?
È la stessa non essenzialità di una cosa a renderla paradossalmente indispensabile. E questo non perché siamo immersi in un mondo di disvalori, di futili apparenze, di superficialità. Esiste sì questa deriva, che a tutt’oggi si materializza anche in un’ipertrofia “social” (basti pensare alla vacuità di fenomeni come l’Ice Bucket Challenge o la sempre più dilagante selfie mania… intendo proprio questo per pornografia… il trionfo della gratuità, lo sradicamento di ogni desiderio…). Ma in fin dei conti si tratta della natura umana, che fa dell’inessenzialità il perno su cui si innestano i meccanismi del riconoscimento. Riconoscimento sociale come adeguamento a modelli di per sé approssimativi, proprio perché generalisti. Sono tutti elementi, questi, che si irradiano anche dai centri commerciali. Ma non mi si fraintenda, una volta ci si ritirava alle Terme di Caracalla, e oggi, mutatis mutandis, si passa una domenica all’Outlet.
4. Come pensi si debba intervenire sulla società per renderla migliore e le persone non simili ai manichini di Plastic Shop?
Non credo a nessun tipo di miglioramento da augurare al prossimo, anche perché l’omologazione dei gusti, delle tendenze, dei valori, etc. è un fenomeno che c’è sempre stato e sempre ci sarà. Siamo un po’ tutti vittime di un narcisismo collettivo che ci porta a volte a comportarci come scimmie ammaestrate, senza tener conto del fatto che da che mondo è mondo esisteranno sempre quei meccanismi di potere sapientemente descritti ad esempio da Foucault in Sorvegliare e punire, che informano mode, costumi e comportamenti. In quest’ottica il centro commerciale può apparire come un moderno Panopticon la cui funzione resta quella di conservare un preciso status quo.
5. Cosa vorresti che il lettore riuscisse a comprendere leggendo il libro? Quale significato non del tutto esplicito vorresti potesse cogliere?
Che se forse c’è qualcosa di nuovo in questi ultimi tempi è la progressiva informatizzazione delle nostre vite. Non è necessariamente un fenomeno negativo, ma quando si arriva a scoprire roba come la Magic fitting room o la possibilità di condividere con tutto il mondo un’infinità di aspetti che prima restavano nella sfera del privato, è chiaro che qualcosa cambia nei rapporti umani. Si arriva a una condivisione acritica, al prosciugamento dell’idea stessa di persona, quindi, mi verrebbe da pensare, allo stadio conclusivo di quel processo di reificazione che ha dominato in occidente dalla seconda rivoluzione industriale in poi. Il discorso può suonare un po’ marxista, ma solo nelle sue premesse metodologiche. Insomma, non siamo più ai tempi di Guy Debord…
6. Se Andrea Campucci dovesse utilizzare tre aggettivi per definire il suo romanzo, quali userebbe?
Reazionario, maleducato, snob.
7. Perché credi che si debba leggere il tuo libro?
Non pretendo che sia un libro da leggere, visto e considerato che mi sono già arrivati, oltre ai molti apprezzamenti, anche riscontri da parte di gente che non ne ha capito né il senso né le intenzioni. Ma quando ci si rivolge a un pubblico è normale, quindi non ci faccio granché caso… Come si dice di solito, scrivo libri che mi piacerebbe leggere… Ah… Se tutti avessero i miei gusti…
8. Da dove nasce la passione per la scrittura?
Dall’osservazione delle piccole o grandi tragedie che avvengono sotto gli occhi di tutti ogni giorno. E qui non si tratta di drammi esistenziali, fatti di cronaca o terrorismo internazionale. No, le vere catastrofi accadono in maniera molto più subdola: quando compiliamo un file Excel per contabilizzare i costi di una vacanza di fine estate, quando scegliamo spremiagrumi a centrifuga realizzati con gli stessi componenti di un Dildo e non cogliamo la sottile ironia della cosa, quando pianifichiamo una crociera alle Maldive con pacchetto More-for-less comprendente un’esperienza Wellness con piscina, vasche idromassaggio, solarium, oltre a concorsi vari, quiz, e lezioni di artigianato… C’è uno strato di marcio che si nasconde proprio nel quotidiano e penso sia compito dello scrittore, o di chi abbia comunque una certa sensibilità, portarlo a galla.
9. Hai nuovi progetti in vista? Stai scrivendo un nuovo libro? Puoi anticiparci qualcosa?
Il nuovo romanzo in realtà sarà un vecchio romanzo, visto che ci sto lavorando da circa quattro anni e che ormai sono arrivato a un qualcosa come otto/nove riscritture. Avrei dovuto metterci la parole fine molto tempo fa, ma dato che si tratta di un testo piuttosto complesso e voluminoso preferisco prendermi le giuste precauzioni e ripassarlo pagina per pagina. (Il titolo c’è già ma ovviamente non ve lo dico…)
10. Qual è il romanzo che ha “rivoluzionato” la tua vita conducendoti alla scrittura?
L’unico romanzo in grado di rivoluzionare una persona è la vita stessa. Quando si prova a incanalarla nei meandri di una “storia” la si snatura definitivamente. E mi pare ovvio che le vere motivazioni, i veri stimoli, partano proprio da qui e non da qualcosa messo nero su bianco in uno spazio, necessariamente limitato, di 100, 200… 1000 pagine…
11. Quale libro non consiglieresti mai a nessuno?
Tutti i libri di Daniel Pennac, visto che tra i suoi 10 diritti del lettore annovera anche il diritto di non leggere. E io l’ho preso alla lettera.
12. Adesso è arrivato il momento per porti da solo una domanda che nessuno ti ha mai fatto, ma a cui avresti sempre voluto rispondere…
Caro Andrea Campucci, secondo te qual è la parte più difficile, complessa e problematica nella realizzazione e promozione di un libro?
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