Recensione Libro.it intervista lo scrittore Ciro Cibelli autore del libro Kisetsu
1. Dovendo riassumere in poche righe il senso del tuo libro Kisetsu, cosa diresti?
È un romanzo che parla di cose che succedono spesso oggi, tra i ragazzi di periferia, tra gli adolescenti abbandonati a loro stessi, tra i giovani di famiglie apparentemente normali. Sono cose che “la gioventù di oggi” è solita non dire ad un genitore, ad un insegnante, ad uno psicologo. Si vergognano, la sentono come una cosa intima. È una realtà che sfugge alle menti adulte, alle teste sapienti che la guardano fuori e pensano: “questi sono matti”, “la generazione di oggi è frivola”, “i giovani sono difficili da capire”. Non è così.
Una volta lessi un libro che mi piacque molto, di un filosofo che parlava del “nichilismo” che pervade i giovani di oggi. Molto bello, ma molto bacchettone. Giudicava i gesti e le azioni senza davvero capire cosa passi nella fantomatica “mente dei giovani”, usando paroloni fumosi e dotti che falliscono nel descrivere la realtà. La realtà è che oggi la vita è un inferno per molti ragazzi, e il futuro è ancora più terrificante. È un gioco estremamente caotico, stressante e complicato alla quale non sanno giocare, e per molti la vita non è neanche un dono: è un qualcosa che non si meritano. Vorrebbero solo essere apprezzati, avere un po’ di amore, un po’ di stabilità, un po’ di certezze, in un mondo sempre più egoista e meschino.
Questo è Kisetsu. Ma l’ho scritto intenzionalmente lasciando anche un margine di interpretazione. E soprattutto, un briciolo di sogno e speranza. Che è quello in cui tutti cerchiamo di vedere in ogni cosa, immagino. Ci serve credere in qualcosa. Che sia un dio, un sogno, o azzeccare un terno al lotto.
2. Da dove nasce l’ispirazione per questo romanzo in cui vengono raccontate le difficoltà e le evoluzioni di una ragazza?
La dura e cruda vita di tutti i giorni, appunto. Le paranoie, la solitudine, la depressione, l’ansia, la noia, l’inadeguatezza sociale, l’inettitudine, incapacità a farne qualcosa di buono della nostra vita, una vita che diamo così tanto per scontata. Tutto questo. Sono tutti aspetti che hanno fatto parte della mia vita per tantissimo tempo, e che ad un certo punto ho sentito il desiderio di esprimerli, in qualche modo. E la scrittura è l’unica arte che mi abbia permesso di veicolare questi messaggi in maniera efficace. Tutto qui.
La scelta di una ragazza come protagonista è perché mi sentivo di esprimermi così, haha. Ho visto che in altre recensioni è stata ritenuta una scelta coraggiosa, quella di uno scrittore uomo che si immedesima nella psiche di una donna. Non ci ho mai fatto caso. Non capisco dove sia la scelta coraggiosa.
3. Cosa vorresti che i lettori riuscissero a comprendere leggendo le tue parole? Quale segno vorresti lasciare in loro?
Non ho scritto Kisetsu cercando di fare la morale o la predica a nessuno. È un qualcosa che mi è “riuscito” di scrivere, senza intenzioni particolari. Penso che i pensieri, le riflessioni e le sensazioni che possa evocare un romanzo – come una qualsiasi opera d’arte – sia qualcosa che un’artista non decide a tavolino di inserire. Ho deciso di esprimere me stesso in questo modo. Come un “artista”, ecco. Alla fine l’arte è proprio questo.
4. C’è qualcosa che avresti voluto aggiungere al romanzo, quando lo hai letto dopo la pubblicazione?
No no beh, ho già aggiunto parecchio credo, hahah!
5. È un romanzo che sicuramente tratta molteplici argomenti e situazioni. In quale genere letterario pensi rientri?
Oddio, non ne ho idea, hahah. Non ho mai pensato un particolare genere letterario quando l’ho scritto, come molti che dicono “sì sì, questo che ho scritto è un fantasy, è un giallo, è un horror, è black metal con influenze grindcore.” Molte recensioni online lo definiscono un romanzo per adolescenti, altri un romanzo drammatico, altri ancora sono sicuri che sia un romanzo psicologico. Se dovessi scegliere un genere, probabilmente lo psicologico, in quanto il mio scopo era proprio quello di sottolineare la psiche piuttosto che gli eventi, molto nello stile de “La Coscienza di Zeno”, un romanzo psicologico che mi ha influenzato molto. Moltissimo ho ripreso anche dal Simbolismo, specialmente l’idea di utilizzare un linguaggio “musicale”, che rievochi sensazioni piuttosto che situazioni. Ma per me il genere poco importa.
6. Perché credi si debba leggere il tuo libro?
Quando ho scritto Kisetsu ho pensato a qualcosa che avrei voluto ardentemente leggere anch’io. Non ho mai pensato: “questo libro sarà una genialata”, “ho talento”, “io sono meglio degli altri”, e tutte quelle cazzate che più o meno pensano tutti quelli che credono ciecamente nei loro sogni o desideri, anche se non lo ammettono.
Siamo in una società che non legge, che non si fa più entusiasmare dai libri. Siamo la società degli smartphone, di Netflix, dei video, delle immagini, dei meme, dei messaggi da condividere semplici e ripetitivi… Senza contare che l’Italia è il paese con meno lettori in Europa, e dove paradossalmente ci sono sempre più scrittori. È il paese degli analfabeti funzionali… perché qualcuno dovrebbe leggere PROPRIO il tuo libro, in un marasma allucinante di libri senza lettori? Come puoi venirne fuori? Di certo non sei fai l’ennesimo fantasy trito e ritrito.
Senza contare che il mondo della letteratura oggi sta anche soffrendo di una profonda stagnazione. Non escludo che, ogni tanto, gli scrittori nascenti possano anche proporre idee interessanti, ma sono tutte scritte allo stesso modo. Si dà troppa importanza all’idea, e non alla forma, come se dovessero scrivere una sceneggiatura e non un romanzo. È come se oggigiorno nascessero gruppi musicali che suonassero esattamente come i Beatles. Non puoi più proporre un genere musicale del genere. Ci vuole qualcosa di nuovo, di innovativo, che abbia anche il coraggio di mettere in discussione i rigidi canoni letterari. Il testo deve essere fluido, musicale, semplice. Le parole devono essere “come note”. Devi fare qualcosa che solo con la scrittura si può fare, e nulla può replicarlo.
Devi invogliare la gente a leggere, di nuovo. Non puoi perderti troppo in descrizioni pompose, in virtuosismi letterari. Gli accordi più semplici sono quelli più efficaci nella musica; stessa cosa va applicata alle parole. Le parole devono andare ad unisono con l’immaginazione del lettore, mai fuori tempo. Deve essere una completa armonia.
Devono evocare sensazioni, non descrivere eventi. Un film mostra gli eventi, un libro deve prenderti emotivamente, deve lasciarti sognare. E l’impaginazione, punteggiatura, divisione in capitoli e spaziature (di cui abuso in Kisetsu) hanno tutte un ruolo importantissimo in questa armonia. Ho voluto creare un nuovo stile, lì dove mancava a tutti, e sono felice che abbia funzionato nell’intento di stimolare l’interesse di nuovi lettori.
7. Ciro Cibelli ha nuovi progetti? Stai scrivendo un nuovo romanzo? Puoi anticiparci qualcosa?
Sì! Ho sempre detto che Kisetsu è solo l’inizio di una “saga” un po’ particolare. Se hai notato, la copertina richiama sia nel fronte che nel retro una carta da gioco francese. La scelta è voluta. Ci saranno altri “tre assi” (fiori, quadri, cuori) che finiranno la quadri-logia. E a farne da padrone ci sarà il personaggio più misterioso di Kisetsu…
8. Qual è il libro che hai letto e ti ha più colpito emotivamente in quest’ultimo anno?
Sicuramente “La Mente del Pozzo” di Roberta Rubini. Mi è piaciuto tantissimo come ha descritto il malessere della depressione, di come l’abbia vissuta in prima persona. Mi ha colpito davvero molto.
9. Abbiamo visto che fai anche cosplay (ed è una cosa di cui parli abbondantemente nel tuo romanzo), e sembra che mischi questa tua passione con tua carriera di scrittore. È una scelta voluta?
Sì e no. Sono due aspetti della mia persona. Il cosplay è una passione, anche la scrittura è una passione. Anche vedere anime per me è una passione, così come giocare ai videogame, andare al cinema, leggere, fare jogging, prepararmi un buon tè. Non mi sento di scindere le due cose. Non avrebbe senso per me. Non mi interessare dare una particolare immagine di me come scrittore. Un’immagine colta, profonda, “commerciale”. Chissenefrega.
Magari mi becchi ad una festa tutto truccato con in mano l’ottavo cocktail della serata mentre ci provo con un cestino dell’immondizia e anche quello fa parte di me. Magari mi becchi un giorno che leggo Schopenhauer, o un fumetto erotico, o mentre disegno peni stilizzati contro un vetro appannato, e anche quello fa parte di me. Magari mi becchi che sparo profanità mentre cerco un parcheggio da mezz’ora e anche quello fa parte di me. Se mi piace un romanzo, un album, un quadro, lo faccio perché mi attrae l’opera in sé, non chi l’ha prodotta.
10. Adesso è arrivato il momento per porti da solo una domanda che nessuno ti ha mai fatto, ma a cui avresti sempre voluto rispondere…
Stranamente nessuno mi ha mai chiesto come sia nata la mia passione per la scrittura. O per il cosplay. Ed è stato meglio così, perché non gli saprei rispondere. Avrei preferito mille volte essere pieno di soldi e stare su uno yatch con delle belle ragazze e tanto alcol, ma la vita mi ha portato ad essere povero, fallito e a scrivere imperterrito su un PC fino a notte fonda. E forse, chissà, per fortuna o purtroppo scrivo.