1. Per iniziare… raccontaci qualcosa di te, qualcosa che vorresti che i nostri lettori sapessero prima di entrare in contatto con il libro che hai scritto.
Sono nato a Roma, città ove attualmente vivo e lavoro. Ho frequentato il corso di laurea in Scienze Biologiche abbandonando però a metà gli studi per motivi di lavoro. In me è sempre stata viva la passione per la scrittura e a scuola i miei temi erano considerati i migliori dell’Istituto. Amo la letteratura dell’Ottocento, specie quella francese e russa, le quali hanno influenzato più delle altre il mio stile di scrittura; sono inoltre attratto dai preziosismi formali, dal descrittivismo e da una certa prolissità.
2. Dovendo riassumere in poche righe il senso del libro “La casa del gufo” cosa diresti?
La “Casa del Gufo” è un romanzo concepito in parte come una sorta di sinfonia, che parte dal monologo interiore del protagonista e poi si evolve in un crescendo al quale fa da detonatore l’incontro, fortuito e casuale, tra Federico e Rosaspina; essi vivono le loro contraddizioni e paranoie in modo autonomo ma l’entropia condurrà alla deflagrazione finale e alla rinascita di entrambi; un vero “solve et coagula” alchemico liberatorio.
3. Il tuo libro è sicuramente un noir, ma troviamo aspetti tipici anche dell’horror. Come viene in mente a un autore di scrivere un romanzo di questo genere? Cosa ti ha spinto a utilizzare questo genere per raccontare la storia?
Scrivevo raccontini horror da quando avevo quindici anni; poi, ovviamente, i miei orizzonti si sono ampliati con il trascorrere degli anni ma l’interesse per questo genere della letteratura mi è rimasto nel sangue. Sono sempre stato attratto dal bizzarro, dal trasgressivo e dall’imprevedibile per cui nel mio romanzo non mi sono limitato a descrivere esclusivamente una morbosa storia “noir” ma ho inserito l’impercettibile e sottile senso del mistero, in puro stile lovecraftiano…l’orrore quotidiano dietro l’angolo, tanto per intenderci!
4. Cosa vorresti che il lettore riuscisse a comprendere leggendo il libro? Quale significato non del tutto esplicito vorresti potesse cogliere?
Vi sono parecchi simboli impliciti ed espliciti da ricercare nel libro: i quadri presenti nei due ristoranti, specie in quello di Pheba, poi quelli nel dungeon SM e il bassorilievo nella chiave di volta della palazzina ove Rosaspina accompagna Federico. E poi il nome stesso –Rosaspina – ha un suo significato intrinseco, di piacere e dolore…
5. Il tuo libro “La casa del gufo” ha l’obiettivo di svelare lentamente il succo della storia e mostrarci la consistenza dei segreti. Credi che ci dovrebbero essere aspetti della propria vita da lasciare celati o si può condividere anche la parte più oscura?
Mi hanno sempre attratto e interessato le parafilie erotiche; quando ero molto giovane scoprii “Psichopathia Sexualis “ di Krafft-Ebing e per me fu un’autentica miniera di idee. Sono però del parere che alcuni segreti vadano celati fino alla tomba.
6. Qual è il romanzo che ha “rivoluzionato” la tua vita conducendoti alla scrittura?
Come affermato innanzi sin da ragazzo scrivevo brevi racconti per cui non posso affermare che ce ne sia uno che mi abbia condotto alla scrittura: posso dire però che il romanzo “Controcorrente” di Huysmans abbia influenzato notevolmente il mio stile; in fondo mi considero un po’ reazionario e dandy, monarchico legittimista e cattolico tradizionalista per cui il mio Federico è, a modo suo, un piccolo Des Esseintes.
7. Quale libro non consiglieresti mai a nessuno?
“De gustibus non est disputandum” affermavano i nostri avi, per cui mi astengo dal non consigliare libri poiché un romanzo che a me può apparire banale può essere interessante agli occhi di altri lettori. Certo, esistono libri che manderei volentieri al macero ma mi guardo bene dal citarli. Vorrei però ribaltare la domanda e citare quelli che sono rispettivamente il poeta e lo scrittore contemporanei che apprezzo di più: Patrizia Valduga e Antonio Pennacchi.
8. Adesso è arrivato il momento per porti da solo una domanda che nessuno ti ha mai fatto, ma a cui avresti sempre voluto rispondere…
Se ho sensi di colpa per quello che penso e scrivo. No, assolutamente nessuno!