1. Per iniziare… raccontaci qualcosa di te, qualcosa che vorresti che i nostri lettori sapessero prima di entrare in contatto con il libro che hai scritto.
Ho cinquantatré anni, sono nato e vivo a San Donà (a soli quaranta chilometri da Venezia) dove svolgo l’attività di architetto. Ho costruito, da quasi vent’anni, con Nicoletta una famiglia tradizionale, con due figli, Giacomo e Ludovico.
Prima di quest’ultimo romanzo sono usciti “Il padre dei sogni” edito da Iacobelli e “Oltre la notte” con San Paolo Editore; quest’ultimo è stato tradotto anche in lingua polacca.
Mi è sempre piaciuto leggere ed inventare storie. Quando i miei figli erano molto piccoli facevamo assieme un gioco: dimmi una parola.
Loro mi suggerivano una parola ed io raccontavo loro, inventando sul momento, una storia. Ogni volta era diversa, ma il finale – Jack e Ludo – lo pretendevano sempre uguale: arriva il mago Balù che risolve, con una magia, ogni situazione.
Quando sono cresciuti ho cominciato a giocare da solo e a scrivere storie inventate. Ma che è possibile accadano tutti i giorni.
Non è mai arrivato il mago Balù e quindi, non sempre, le storie dei miei personaggi finiscono bene. La vita è così, qualche volta le difficoltà si risolvono, più spesso ci travolgono.
2. Dovendo riassumere in poche righe il senso del libro “Le catene dell’odio” cosa diresti?
Giò Croff compie un viaggio attraverso alcune storie di persecuzione e sofferenza che hanno coinvolto l’umanità in questo ultimo secolo: la persecuzione nazista del popolo ebraico, le pulizie etniche nell’ex Jugoslavia, il dramma della guerra israelo-palestinese.
Il protagonista non cerca queste esperienze, si trova a viverle suo malgrado; spesso ci troviamo dentro ai drammi in modo inconsapevole, trascinati dagli eventi.
Quello che Giò comprende è che l’Uomo nasce a si trova a vivere all’interno di società in cui le relazioni con gli altri non sono il risultato solo dei comportamenti dei contemporanei, ma sono l’esito dei rapporti che per secoli, prima di lui, altri hanno intessuto.
Ci sono catene lunghissime, forgiate anello dopo anello con l’odio di una generazione dopo l’altra, che legano l’Uomo, avvolgono Paesi anche lontani tra loro, e lo costringono a perseverare nella violenza. Come spezzare queste catene?
L’unica soluzione è il perdono… è inevitabile.
E’ necessario superare l’istinto che induce alla vendetta (che non pareggia mai i conti) e scegliere il perdono per andare verso la serenità.
3. Il protagonista della storia si trova a vivere una relazione passionale e a dover scoprire i misteri che avvolgono una villa ricevuta in eredità. Sembra che in questo romanzo giallo tu abbia voluto ricreare una contrapposizione in equilibrio tra amore e terrore. È così? Questa scelta è voluta? E se sì qual era l’intento?
“Le catene dell’odio” non è un giallo, neppure un thriller e tanto meno un racconto d’amore. Ciò che racconto sono storie di “personaggi in tensione”: uomini e donne che vivono vite normali, che vengono a contatto con fatti normali. Hanno dentro di loro, però, un’inconsapevole tensione che li porta a cercare di capire le ragioni vere e profonde delle cose.
L’eredità di Villa Ada è un pretesto, un’occasione per capire che la persecuzione razziale – iniziata in Italia con le leggi razziali del 1938 – non è stata solo una smargiassata propagandistica. Le norme razziali hanno avuto ricadute tragiche e immediate nella vita quotidiana di ebrei e non ebrei, su chi viveva sereno e inconsapevole che il genere umano potesse essere, assurdamente, diviso in razze. La legalizzazione della persecuzione razziale ha fatto saltare ogni freno inibitore nelle persone peggiori, ha dato modo, anche a chi aveva sempre avuto comportamenti normali, di liberare la propria componente disumana, tenuta nascosta.
4. Le catene dell’odio di cui parli nel libro prendono ispirazione da qualche avvenimento realmente accaduto, da una quotidianità che si dirige sempre di più da quella parte, dove il dolore alimenta odio e vendetta, oppure è solo frutto della fantasia?
Qualche anno fa, per motivi professionali, ho avuto tra le mani un atto notarile di compravendita, stipulato nel 1939. Era un contratto scritto a mano, in bella calligrafia, con un pennino ad inchiostro che permetteva di tracciare curve e volute di grande leggerezza.
Ma vi era una frase, quasi all’inizio dell’atto, il cui peso era pari ad un macigno: …” i Contraenti mi dichiarano, ed io notaro sono certo, che sono di pura razza ariana…”.
Ecco, questo è stato l’incipit che ha fatto nascere la storia che ho raccontato in “Non chiudere gli occhi”. Non è una storia che io ho vissuto, ma ho inventato pezzi di storie che certamente sono state vissute e sofferte da milioni di persone.
5. Qual è il romanzo che ha “rivoluzionato” la tua vita conducendoti alla scrittura?
Non è un romanzo che ti porta a scrivere. Amo Marquez, Faulkner, molti contemporanei come Zafon e il primo Coelho, ma non è un romanzo letto che ti induce a pensare: “bello questo… ora scrivo anch’io qualcosa”.
Scrivere è riflettere, pensare, ma anche possibilità di entrare in una dimensione altra.
Inventare storie presuppone, inevitabilmente, una grande responsabilità. Scrivere una storia può trasformarsi anche in un atto di ribellione contro Dio, il grande Creatore.
Io, come Dio, creo personaggi con sentimenti, sofferenze, gioie, passioni; deciso della loro vita e della loro morte. Nel momento in cui scrivo, per i miei personaggi, io sono Dio.
In verità io penso, scrivo, creo solo perché Dio me l’ha concesso; posso diventare strumento di Dio se le mie storie possono essere utili agli altri.
Sarei felicissimo se un mio romanzo avesse aiutato qualcuno a ragionare e a meglio comprendere. Non chiedermi cosa. Qualsiasi cosa.
6. Quale libro non consiglieresti mai a nessuno?
Ogni libro vale la pena di essere letto. Qualunque pensiero tradotto in scrittura ha un valore. Puoi concludere dicendo che è una sciocchezza, ma getta il foglio solo dopo averlo letto.
7. Adesso è arrivato il momento per porti da solo una domanda che nessuno ti ha mai fatto, ma a cui avresti sempre voluto rispondere…
Una risposta ad una domanda mai fatta potrebbe diventare un romanzo non ancora scritto.
La risposta che ti darò sarà il mio prossimo romanzo e tu potrai divertirti a inventare la domanda.