Intervista a Gian Paolo Iervolino
1. Dovendo riassumere in poche righe il senso del tuo stupendo libro fotografico Flowing time, cosa diresti?
Flowing Time è una romantica passeggiata tra le meraviglie della Città Eterna, da Piazza del Popolo a Trastevere, rendendo il mio modestissimo omaggio non solo alla maestosità ed alla oggettiva bellezza dei monumenti capitolini, ma anche agli artisti di strada che con le proprie esibizioni hanno il potere di aumentarne il fascino.
2. Da dove nasce l’ispirazione per questo libro sugli angoli suggestivi di Roma e l’andare delle persone?
Flowing Time è nato dall’intima esigenza di esorcizzare il “peggiore dei miei demoni”: il tempo. È un progetto durato circa quattro anni, con mille varianti tra forme colori e contenuti… poi per la teoria sempre vincente del “less is more” ho lasciato che il passaggio casuale delle persone disegnasse le mie foto sotto l’occhio vigile e materno della Capitale.
3. Cosa vorresti che il lettore riuscisse a provare sfogliando il libro?
Quando si scattano delle foto fuori dall’ambito giornalistico – in cui si ha il compito di raccontare quanto sta accadendo nel momento dello scatto – e ci si ritrova a dare forma ad una propria emozione si vorrebbe che il fruitore finale riuscisse a riconoscere immediatamente tale emozione. Ecco, vorrei che si cogliesse il desiderio di “imbrigliare” il tempo oltre ovviamente a riconoscere la bellezza di Roma. Però è pur vero che un lavoro lo si può definire opera d’arte nel momento in cui riesce a suscitare emozioni diverse, positive o negative che esse siano.
4. Se Gian Paolo Iervolino dovesse utilizzare tre aggettivi per definire Flowing time, quali usebbe?
Interessante, elegante e intimo.
5. Perché credi che si debba leggere il tuo libro?
Nelle foto ognuno “legge” quello che in realtà ha dentro sé nel momento in cui i propri occhi incontrano le foto stesse… sicuramente è un punto di vista inconsueto di vedere la Roma turistica; ma vale la pena fermarsi qualche istante in più per riuscire a leggere nelle scie dei passanti la fragilità di ognuno di noi. La prefazione dell’amico Manuel Neila, poi, merita sicuramente grande attenzione.
6. Da dove nasce la passione per la fotografia?
Ho iniziato ad avvicinarmi alla fotografia nel 1996, quando appena ventenne vestivo i panni di ufficiale dell’esercito a Cividale del Friuli…sono sempre stato abbastanza curioso, ma anche molto chiuso ed ho riconosciuto nella fotografia lo strumento migliore per immergermi nella vita pur salvaguardando la mia timidezza…
7. Hai nuovi progetti in vista? Stai fotografando per un nuovo libro? Puoi anticiparci qualcosa?
Sì, ho un paio di progetti in mente, ma solo su uno ho iniziato a realizzare quello che in cinematografia chiamano “Storyboard” in cui sto inserendo tutti gli elementi che poi andranno a comporre e caratterizzare il libro. Ho preso spunto da un romanzo italiano assai discusso, nel bene e nel male, che nel 2008 ha vinto un premio importante… è un progetto ambizioso sulla difficoltà di relazionarsi.
8. Qual è il romanzo che ha “rivoluzionato” la tua vita conducendoti alla scrittura?
Uno dei libri a cui sono più legato e che durante il calvario dell’adolescenza ha saputo “contenere” le criticità tipiche di quell’età è senza dubbio “L’età della ragione” di Jean Paul Sartre; altri grandi compagni della mia gioventù sono stati Hermann Hesse e Charles Baudelaire. Ovviamente da essi ho imparato a “coccolare” le mie inquietudini e a trarre forza da esse e ben poco dell’arte della fotografia. Per quest’ultima i maestri Sebastiao Salgado e Ansel Adams sono i miei punti di riferimento, pur riconoscendo di essere ancora molto lontano dalla loro grandezza.
9. Quale libro non consiglieresti mai a nessuno?
Non esiste un libro che non valga la pena di non essere letto, se non per l’acquisita consapevolezza che se il bello esiste è proprio grazie al brutto e che anche la peggiore dell’esperienza ha in sé la capacità di arricchirci insegnandoci qualcosa di cui prima non eravamo a conoscenza, spesso proprio su noi stessi.
10. Adesso è arrivato il momento per porti da solo una domanda che nessuno ti ha mai fatto, ma a cui avresti sempre voluto rispondere…
Una delle domande che non mi è mai stata fatta è se sono soddisfatto del risultato finale: quando impugno la reflex e comincio a imprigionare la realtà in pixel o su pellicola, non faccio altro che dare corpo al mio stato d’animo del momento… ai miei allievi del corso di fotografia ho sempre insegnato che la fotografia è il prolungamento della coscienza del fotografo… e se tale messaggio riesce ad arrivare forte e chiaro, allora si è riusciti a fare la foto “giusta”… non necessariamente perfetta tecnicamente o universalmente riconosciuta come bella. Detto questo, se oggi mi venisse chiesto se sono soddisfatto, risponderei serenamente di sì, perché riconosco nei miei scatti il messaggio che essi vogliono dare.