Lodovico Balducci autore del libro Poemetti quasi sacri: intervista di Recensione Libro.it
1. Dovendo riassumere in poche righe il senso del tuo libro Poemetti quasi sacri, cosa diresti Risposta: Non possiamo fare a meno di connetterci in qualche modo con la divinità, perché il senso della nostra vita va cercato al di là di noi stessi. Noi veniamo al mondo come corridori di una corsa a staffetta e non sappiamo né possiamo controllare do dove la staffetta viene e dove va a finire. Il razionalismo, inteso come fede nella capacità della ragione di spiegare l’esperienza umana, ci ha privato della saggezza che conduceva naturalmente alla fede, accettando la nostra ignoranza. Da quando Descartes ha passato una vita a chiedersi se esisteva o no, non possiamo più essere sicuri neppure di noi stessi. Nella presentazione del mio libro a Rimini, Ennio Grassi l’ha chiamato “Il canto della ragione.” Io ho cercato di esprimere emozioni reali, che vivono di contraddizioni e come tali oltrepassano la ragione e mi costringono a connettermi con la divinità. Un altro commento del mio libro potrebbe essere: “L’inganno o le bugie della ragione.”
2. Da dove nasce l’ispirazione per questa raccolta di poesie in cui si parla di fede, omosessualità, Dio e la società? Fino al 1966 ho creduto di essere un cristiano devoto, basando la mia fede sul raziocinio. In quell’anno fatidico ho deciso che gli argomenti razionali facevano acqua da tutte le parti e non potevo fondare la mia vita su quelli, che anzi gli argomenti razionali mi avevano impedito di esplorare la vita per me stesso. A 22 anni ho cominciato una esplorazione che molti giovani conducono durante l’adolescenza. Dieci anni più tardi ho riscoperto la fede come complemento irrinunciabile delle mie esigenze più umane. Il libro nasce dal desiderio di dare voce a questo percorso contrastato. La poesia è il mezzo più adatto per questo scopo. A differenza della prosa la poesia può inglobare le contraddizioni tipiche della natura umana. La mia fede mi conduce a trovare i semi di redenzione in ogni esperienza umana, inclusa l’omosessualità o la pedofilia, e non a condannare alcuna esperienza. L’odio stesso è la faccia opposta dell’amore tradito.
3. Cosa vorresti che i lettori riuscissero a comprendere leggendo le tue parole? Quale segno vorresti lasciare in loro? Che il male è una malattia che ci impedisce di essere noi stessi. Che la vita è un ospedale da campo dove tutti sono malati e dove le persone possono e devono aiutare l’un l’altro a guarirsi. Tutti i rappresentanti ecclesiastici sono dirigenti ospedalieri che permettono all’ospedale di funzionare, ma sono malati anche loro né sono necessariamente i migliori medici. Uno degli slogan della medicina moderna raccomanda la medicina preventiva, il mantenimento della salute. Ma lo scopo dell’esperienza vitale e’ proprio il contrario: affrontare la malattia, non cercare di prevenirla.
4. C’è qualcosa che avresti voluto aggiungere al libro, quando lo hai letto dopo la pubblicazione? Avrei voluto spiegare la redenzione. Il redentore, nell’antico giudaismo, era la persona che pagava i debiti morosi di un altro uomo e in questo modo impediva la vendita come schiavi di lui e della sua famiglia. Tutti siamo caricati dei debiti che i nostri antecedenti ci hanno lasciato, e ci restano due possibilità. Una è di gravare i nostri discendenti con più debiti. L’altro è fermare questa catena di vendetta, rappresentando una diga all’espandersi del male o agendo come un parafulmine che attiri e disperda l’odio che ci circonda. La croce di Gesù è per questo l’esempio più convincente di redenzione. Io non voglio credere che Gesù sia morto per pacificare un dio assetato di sangue, come la mitologia ebraica e cristiana ci insegna. Credo che sia morto per esaurire il male che ci teneva prigionieri e liberarcene.
5. Se Lodovico Balducci dovesse utilizzare tre aggettivi per definire Poemetti quasi sacri, quali userebbe? Appassionato, sincero, brutale.
6. Perché credi si debba leggere il tuo libro? Per riconoscerci esseri agonici, non agonizzanti, implicati in una serie di contraddizioni emotive che spesso preferiamo ignorare o razionalizzare e in questo modo divorziamo da noi stessi, ci trasformiamo in pietre tombali. In molti dei miei poemetti ho espresso lo squarcio emotivo prodotto dai contrasti emotivi all’interno della mia famiglia o della mia professione di medico. Se pretendiamo di ignorare queste lacerazioni, perché non possiamo trovare una cura razionale, ci priviamo dell’opportunità di vivere, cioè di guarirci a vicenda. Questa situazione fu descritta mirabilmente nel libro di uno psichiatra americano Scot Peck, intitolato “People of the Lies” (gente della bugia).
7. Lodovico Balducci ha nuovi progetti? Stai scrivendo un nuovo libro? Puoi anticiparci qualcosa? Tanti. Ho 75 anni e mi restano pochi anni per perseguire questa nuova vocazione. Ho già pubblicato con Panda un’altra raccolta di poesie intitolata Rosario, che ha vinto il premio Prunola. Il 25 Ottobre il regista Antonio Minelli produrrà a Bari la prima rappresentazione di Giobbe, un pezzo teatrale che ha vinto l’anno scorso il Premio Attore Artemisia. Nel mio lavoro la figura biblica di Giobbe è una giovane donna che sta morendo di cancro mammario. Ho finito di scrivere un romanzo breve intitolato “Il Vangelo Secondo Maria” dove sostengo che la trasformazione cristiana della religione ebraica è dovuta all’influenza che la madre di Gesù ha avuto sul figlio inducendolo a rinnegare un dio patriarcale e sanguinario. E ho altre due raccolte poetiche da completare. Una si intitola: “Non ti chiamerò più dottore” dove un paziente col cancro lascia al suo medico una serie di lettere in forma di poesie dedicate alle persone che più hanno influenzato la sua vita. Nel 2015 ho pubblicato in America, dove vivo, un memoir intitolato Megalies (bugie colossali).
8. Qual è il romanzo che hai letto e ti ha più colpito emotivamente in quest’ultimo anno? Confesso che non ho trovato niente di interessante nella letteratura europea degli ultimi trent’anni. Rileggo spesso, anche per abituarmi allo spagnolo e al portoghese, lingue in cui ho tenuto molte conferenze mediche, scrittori sudamericani. Ho riletto recentemente L’amore del tempo del Colera di Garcia Marquez, al margine del Rio Pedra di Paulo Coelho e Il labirinto della solitudine di Octavio Paz. Tra gli scrittori europei del novecento amo più di tutti Georges Bernanos, Marcel Proust, Marguerite Yourcenar Miguel de Unamuno e Thomas Mann. Purtroppo non conosco abbastanza bene il tedesco per leggere Mann nella sua lingua originale.
9. Quale libro non consiglieresti mai a nessuno? Il castello di Kafka. Non è un giudizio di valore, ma come il Processo non ce la faccio a seguirlo, mi stanco. Giustamente a Praga la statua di kafka rappresenta un incubo.
10. Adesso è arrivato il momento per porti da solo una domanda che nessuno ti ha mai fatto, ma a cui avresti sempre voluto rispondere. Puoi parlarmi di te, dirmi chi sei, soprattutto dirmi quali sentimenti ti ispirano? Molte persone mi hanno accusato, con ragione, di mancare di spontaneità. Una ragazza mi ha accusato di inscatolare le parole e tirarle fuori come uno spettatore di avanspettacolo senza impressionare nessuno. Questo è stato forse il mio tormento più costante.