Intervista a Michele Orione
1. Dovendo riassumere in poche righe il senso del tuo libro Ho imparato a sognare cosa diresti?
Una storia semplice, a tratti probabilmente banale, che fotografa la vita con romanticismo e ottimismo, spronando a non smettere mai di credere nei propri sogni, che invita ad inseguirli con tenacia e passione. Ad ogni età.
2. Da dove nasce l’ispirazione per questo romanzo in cui è evidente la passione per lo sport e la necessità di guardare ai sogni come a qualcosa di raggiungibile?
Dalla realtà, da molti anni di passione per la pallavolo. Dagli incontri con i protagonisti di questo meraviglioso sport. E ovviamente anche dalla vita quotidiana. Il romanzetto è dedicato al volley ma il campo è quello del vivere, degli incontri e delle sfide di ogni giorno.
3. Questo romanzo è scritto pensando ai giovani, ma vuole spronare gli adulti a essere come i ragazzi: pieni di speranza e pronti a mettersi in gioco. Cosa ti ha spinto a parlare a generazioni diverse e perché?
Spesso quando si cresce, si diventa adulti e ci si dimentica di ciò che si è stati, delle ambizioni, dei progetti, dei sogni. Si chiude tutto dentro un cassetto che con il tempo diventa sempre più difficile da riaprire. Si diventa talvolta troppo razionali. Quando avevo 20 anni mi sono promesso che a 40 non mi sarei dimenticato dei miei sogni e in parte quest’ottantina di pagine ha un duplice significato: poter mantenere quella promessa e poter ripensare senza troppa nostalgia ai 20 anni.
4. Cosa vorresti che il lettore riuscisse a comprendere leggendo il libro? Quale significato non del tutto esplicito vorresti potesse cogliere?
Vorrei che il lettore ricordasse, anche solo per un istante, un sogno lasciato nel cassetto e comprendesse l’importanza di provare a realizzarlo. Credo che il libro sia diretto e non abbia, forse è un limite, messaggi espliciti.
5. Se dovessi utilizzare tre aggettivi per definire il tuo romanzo, quali useresti?
Utilizzo i 3 aggettivi più inflazionati da chi fin qui ha letto il romanzo: intenso, emozionante, commovente.
6. Perché credi che si debba leggere Ho imparato a sognare?
Perché nella sua semplicità credo trasmetta messaggi importanti: credere nei sogni, aver fiducia nei giovani, vivere intensamente, con tenacia e dedizione, ogni istante della propria vita. Non aver paura della morte ma temere il non riuscire a vivere.
7. Da dove nasce la passione per la scrittura?
Credo nella sala parto dell’Ospedale di Voghera circa 38 anni fa… O forse alle elementari. Ricordo un episodio buffo: alcuni miei compagni di classe scrissero un giornalino nella settimana in cui era a casa con la varicella. Quando tornai e vidi quel foglio senza nulla di mio iniziai a scrivere e produssi un giornalino di 3 pagine. Da allora ho sempre scritto: diari, articoli, blog… Insomma volendo ironizzare Ho imparato a sognare è anche frutto di un trauma infantile…
8. Michele Orione, hai nuovi progetti in vista? Stai scrivendo un nuovo libro? Puoi anticiparci qualcosa?
Pubblicare un libro era un sogno, l’ho realizzato. Ho imparato a sognare era il romanzetto che avevo nella mente e nel cuore da anni. Non so se scriverò altro. Senza dubbio la scrittura è per me una passione e come tale credo debba essere spontanea. Se e quando avrò un’ispirazione degna di essere impressa su carta lo farò altrimenti rileggerò queste pagine.
9. Qual è il romanzo che ha “rivoluzionato” la tua vita conducendoti alla scrittura?
A condurmi alla scrittura non è stato un romanzo in particolare ma se devo pensare ad una lettura che ha “rivoluzionato” la mia vita direi senza dubbio le Fiabe di Andersen. Sono state il mezzo più romantico per imparare a sognare fin da piccolo.
9. Quale libro non consiglieresti mai a nessuno?
Credo che ogni libro come ogni episodio della vita, anche il peggiore, possa essere utile per capire e per crescere. Quindi non sconsiglio nessun libro anzi li consiglio tutti.
10. Adesso è arrivato il momento per porti da solo una domanda che nessuno ti ha mai fatto, ma a cui avresti sempre voluto rispondere…
La domanda che mi farei? Cosa spinge un quasi quarantenne, impiegato part time a mettersi in gioco e in parte a “mettersi a nudo”, a rischiare raccontando emozioni? Credo sia il senso della vita, il desiderio di sentirsi vivo e di vivere intensamente ogni istante.