Intervista allo scrittore Roberto Franzoni Lezzi
1. Dovendo riassumere in poche righe il senso del libro Oltre, cosa diresti?
La natura del Bene e del Male, ontologici e al tempo stesso dentro di noi, si nutre di fantasmi e frammenti del Sé che attendono una ricomposizione. Nella relazione fra i due personaggi, Anieta e Paolo, avviene questo e chi nell’amore soccorre ne è soccorso. Il senso è: integrazione, equilibrio, trascendenza.
2. Da dove nasce l’ispirazione per questo romanzo in cui guerra, amore, amicizia sono presenti costantemente?
Fui turbato anni fa dalla guerra che seguì alla dissoluzione della ex Jugoslava. Si ripresentava una guerra tra fratelli, conflitto e dissoluzione interna agli uomini e alla storia. Mi incuriosiva comprendere gli accadimenti interni agli uomini e le possibilità di risanamento da queste esperienze. Inoltre sentivo vivo il richiamo al periodo storico del nazismo. Non intendo dalla prospettiva di uno psichiatra, ma del sentire e comprendere intuitivo che può fare della vita, di ogni vita, una narrazione.
3. Cosa vorresti che i lettori riuscissero a comprendere leggendo le tue parole? Quale segno vorresti lasciare in loro?
Che una via per sollevarsi dalle esperienze traumatiche e collettivamente regressive è possibile. E’ sempre possibile un ampliamento della coscienza e un’integrazione fra i tanti aspetti scissi, separati che abbiamo dentro, ma come un catalizzatore abbiamo bisogno di chi ci riconosce, di chi ci sente “Essere al mondo” e ci restituisce il senso di un’unità e di un valore. Se banalmente è la natura dell’amore, quale amore e come questo si declini è tutt’altro che banale.
4. C’è qualcosa che avresti voluto aggiungere al libro, quando l’hai letto dopo la pubblicazione?
No. Seppure ho avuto il dubbio che il mio stile in terza persona per rappresentare con periodi e frasi molto brevi, immaginifiche, una sorta di flusso di coscienza potesse far perder di fluidità, in realtà mi sono accorto che ciò poteva essere nelle prime venti pagine, ma che questa struttura assumeva poi proprio grazie a questo un andamento incalzante, rapsodico e al tempo stesso in grado di toccare più nel profondo il lettore.
5. Se Roberto Franzoni Lezzi dovesse utilizzare tre aggettivi per definire Oltre, quali userebbe?
Un romanzo Multistrato, come una torta millefoglie. Poetico, per le immagini e le sinestesie. Passionale, per il vorticare di emozioni e sentimenti.
6. Perché credi si debba leggere il tuo libro?
Per ritrovarsi. E’ un romanzo che consente diversi livelli di lettura e di intuizione su di sé.
7. Hai nuovi progetti? Stai scrivendo un nuovo libro? Puoi anticiparci qualcosa?
Oltre è stato scritto alcuni anni fa. Ho scritto poi un secondo romanzo di cui sto completando l’editing. Posso già dire il titolo. “Mente.” Duplice accezione di mente e del verbo mentire in terza persona. Più che una crime story, un viaggio nel sentire criminale in rapporto alla ricerca di un’etica. Un altro romanzo invece, molto diverso, è ancora in ebollizione. Come una ribollita in realtà.
8. Qual è il romanzo che hai letto e ti ha più colpito emotivamente in quest’ultimo anno?
Murakami. 1Q84.
9. Quale libro non consiglieresti mai a nessuno?
E chi sono io per dirlo…
10. Adesso è arrivato il momento per porti da solo una domanda che nessuno ti ha mai fatto, ma a cui avresti sempre voluto rispondere…
Perché essere uno scrittore, ammesso che tu lo sia? Non importa come ci si definisce. O meglio, non importa la componente di narcisismo purché non renda ciechi alla critica e preda di specchi deformanti, illusori. Per me scrivere, quando mi riesce, è attingere a una dimensione che non conosco, non comprendo, non so dire. E’ scoprire dal profondo di me, parti che non sono me e al tempo stesso l’autentico me. Solo se e quando questo avviene posso pensare di essere uno scrittore e che quanto scrivo possa avere un valore rappresentativo e sincretico. Nulla di ciò che invece costruisco razionalmente avrebbe altrimenti un’anima, né avrebbe significato scriverlo. Oltre nasce così, accanto ad altri costrutti privi di questa vitalità e quindi interrotti. In questo modo scrivere è la scoperta di un invariante collettivo che come tale è per il lettore possibile trascendenza. Ma dovevo proprio farmela questa domanda?