La redazione del sito Recensione Libro.it intervista lo scrittore Daniele Caroleo autore del libro “10 interminabili secondi”
Dovendo riassumere in poche righe il senso del tuo libro “10 interminabili secondi”, cosa diresti?
“10 interminabili secondi” è un libro che racconta una vittoria, sì, ma anche molto di più. È la fotografia di un momento sportivo decisivo – dieci secondi che hanno consegnato all’Italia il titolo europeo nel calcio da tavolo – ma è anche e soprattutto un tentativo di dare voce a uno sport che, pur essendo in miniatura, genera emozioni vere, profonde, universali. Attraverso questa storia, ho cercato di restituire dignità e spessore a una disciplina che spesso viene sottovalutata, ma che merita di essere conosciuta, compresa e valorizzata per ciò che è diventata: uno sport vero, con una sua cultura, una sua storia, una sua comunità.
Da dove nasce l’ispirazione che ti ha portato a scrivere questa storia sul calcio da tavolo?
L’ispirazione per questo libro nasce da una necessità ben precisa: raccontare le difficoltà che il calcio da tavolo affronta da anni per essere riconosciuto come sport, e che io stesso ho potuto toccare con mano nel mio ruolo di addetto stampa della Federazione Italiana Sportiva Calcio Tavolo (FISCT), incarico che ricopro dal 2022. In questi anni ho vissuto in prima persona il grande lavoro che viene fatto ogni giorno da giocatori, dirigenti e appassionati per far crescere questa disciplina, per farla uscire dall’ombra. Lo spunto concreto per iniziare a scrivere è arrivato dopo la vittoria della Nazionale Italiana agli Europei di Gibilterra del 2023.
Il gol decisivo in finale contro il Belgio ha avuto un’eco per certi versi inimmaginabile sui social, un’onda emotiva che mi ha suggerito quanto potenziale narrativo ci fosse in quella storia. Ho pensato fosse giunto il momento di provare a raccontare il tutto in maniera sostanzialmente diversa rispetto a quanto si può semplicemente fare con il classico – che poi classico non lo è per niente – lavoro di un ufficio stampa. Raccontare, dunque, l’attività agonistica, i tornei, le emozioni delle partite, ma anche le storie dei protagonisti: i volti, le mani, le scelte, i sogni, le ambizioni e le emozioni. E insieme a questo, raccontare l’evoluzione storica del calcio da tavolo, da fenomeno ludico di massa a sport vero e proprio. Il libro è anche un mosaico culturale, fatto di collegamenti e suggestioni. Ho voluto intrecciare questi racconti con riferimenti a momenti sportivi iconici, contesti storici e sociali, frammenti di letteratura, musica, arte e sociologia. E questa attenzione alla storia e alla struttura del libro è stata riconosciuta anche dalla critica. “10 interminabili secondi”, infatti, ha ricevuto il Premio Speciale della Giuria al Premio Letterario Nazionale “Città di Ladispoli”, un riconoscimento che per me ha avuto un grande valore, perché ha confermato che questa storia non parla solo agli appassionati di calcio da tavolo, ma a chiunque ami lo sport e le sue dinamiche più profonde.
Cosa vorresti che i lettori riuscissero a comprendere leggendo le tue parole? Quale segno vorresti lasciare in loro?
Vorrei che chi legge riuscisse a vedere il calcio da tavolo da una nuova prospettiva. Non come un gioco nostalgico o una curiosità da collezionisti, ma come una disciplina vera, viva, che coinvolge atleti, federazioni, passioni, sacrifici e sogni. Ma c’è di più. Vorrei che emergesse anche un messaggio più ampio: che ogni sport, anche il meno visibile, contiene storie degne di essere raccontate, emozioni autentiche, e una propria dignità. Mi piacerebbe lasciare nel lettore la sensazione di aver viaggiato in un mondo poco conosciuto ma ricco, sfaccettato. Un mondo che dialoga con la cultura, con la memoria, con l’identità collettiva. Se, arrivando all’ultima pagina, qualcuno comincerà a guardare il calcio da tavolo con occhi diversi, intuendone la profondità e la ricchezza nascosta, allora avrò raggiunto l’obiettivo che mi ero prefissato.
C’è qualcosa che avresti voluto aggiungere al libro?
Sì, assolutamente. Ci sono alcune storie personali, alcuni retroscena, che avrebbero meritato più spazio. Ma ogni libro ha una sua misura, e a un certo punto bisogna scegliere cosa tenere e cosa, purtroppo, lasciare fuori. Avrei voluto esplorare ancora più a fondo alcune dinamiche interne al movimento, certi percorsi individuali che, pur essendo magari meno “mediatici”, sono umanamente fortissimi. Credo però che questa scelta di misura abbia giovato alla narrazione, rendendola più equilibrata e leggibile. E chi lo sa, magari alcune di quelle storie potranno essere riprese in futuro, in un altro formato, in un altro progetto.
Se dovessi utilizzare tre aggettivi per definire “10 interminabili secondi”, quali useresti?
Direi che è un libro narrativo, testimoniale e autentico. Tre parole che, insieme, descrivono non solo la forma del libro, ma anche il suo spirito. Narrativo, perché ho voluto costruire un racconto, non limitarmi a elencare fatti o risultati. La struttura è quella di un viaggio, che attraversa episodi sportivi, luoghi, ricordi, ma anche suggestioni culturali e riflessioni personali. Ho cercato di far emergere la forza della storia, di rendere ogni capitolo parte di un disegno più ampio, dove lo sport è il punto di partenza, non necessariamente il punto d’arrivo. Testimoniale, perché si fonda su storie vere, vissute da chi il calcio da tavolo lo pratica, lo organizza, lo sostiene ogni giorno. Ho scelto di dare spazio alle testimonianze dei protagonisti di questa disciplina, trasformandole in un racconto che potesse conservarne l’autenticità. Il libro prova a fissare sulla pagina gesti, emozioni e momenti che spesso sfuggono alla narrazione ufficiale, restituendo così valore a esperienze che meritano attenzione e memoria. In questo senso, il mio lavoro è stato anche un modo per provare a documentare e valorizzare un patrimonio sportivo e umano che rischia troppo spesso di rimanere invisibile.
Autentico, perché non ho mai cercato di rendere la realtà più spettacolare di quella che è. Al contrario: ho cercato di coglierla nella sua verità, con semplicità e rispetto. Non c’è costruzione, non c’è retorica. Solo l’intenzione di raccontare, nel modo più sincero possibile, un mondo che ha una sua identità forte, magari poco visibile, ma piena di vita.
Perché credi si debba leggere il tuo libro?
Perché offre uno sguardo diverso sullo sport. Non parla di campioni da copertina, di diritti televisivi o di plusvalenze, ma di mani che si muovono su un panno verde, di sguardi tesi, di vittorie sudate in silenzio. Racconta una realtà alternativa a quella patinata a cui siamo abituati, ma non per questo meno significativa. Credo che leggere questo libro significhi aprirsi a una narrazione sportiva più umana, più lenta, più vera. E credo che sia anche un modo per riscoprire il valore del racconto sportivo come strumento di memoria e consapevolezza. È un libro che parla di Subbuteo, sì, ma soprattutto parla di passione, di comunità e di identità culturale. E per tutto questo, un ringraziamento particolare va anche a Eclettica Edizioni, che ha creduto nel progetto fin dall’inizio, lasciandomi la libertà di raccontarlo esattamente come lo immaginavo. Inoltre, a impreziosire ulteriormente il libro c’è anche la prefazione firmata da Italo Cucci, una delle voci più autorevoli del giornalismo sportivo italiano. Il suo contributo ripercorre il legame tra il calcio in miniatura e il mondo dell’informazione sportiva. Il Guerin Sportivo, sotto la sua direzione, è stato un punto di riferimento fondamentale per la diffusione del Subbuteo in Italia, e il suo sguardo storico offre un livello di lettura ulteriore alla narrazione.
Hai già nuovi progetti e nuove idee?
Sì, di idee e progetti ce ne sono tanti, anche sul piano editoriale, ma in questo momento sono particolarmente concentrato sull’organizzazione del Campionato LND di calcio da tavolo e Subbuteo Tradizionale, realizzato in collaborazione con la Lega Nazionale Dilettanti, che ha anche patrocinato il mio libro. Un riconoscimento che considero importante, così come il contributo del Presidente Giancarlo Abete, che ringrazio profondamente per aver firmato il saluto introduttivo, sottolineando il valore del calcio da tavolo come strumento di aggregazione e crescita. A tutto questo si collega anche Vinciamo Insieme, il progetto benefico promosso dalla stessa LND per portare il cosiddetto calcio virtuale in ospedali, case-famiglia e comunità di recupero. Ho fortemente voluto che i proventi del libro sostenessero questa iniziativa, perché credo nel valore sociale dello sport, anche nelle sue forme meno convenzionali, e sono felice che, grazie ai primi ricavati, sia stato possibile donare un campo da calcio da tavolo professionale per l’allestimento del primo HUB di questa iniziativa solidale, recentemente inaugurato presso la struttura centrale di A.B.E.O. Liguria, che ospita i giovani pazienti dell’Istituto Pediatrico Giannina Gaslini di Genova e le loro famiglie.
Qual è il romanzo che hai letto quest’anno che ti ha più colpito e consiglieresti?
Una delle letture che mi ha colpito più profondamente quest’anno è La Milonga del Fútbol, scritto da Federico Buffa e Fabrizio Gabrielli: un vero e proprio gioiello narrativo che si muove tra storia, emozione e cultura calcistica. Non è un romanzo in senso stretto, ma un racconto corale, poetico e intenso che attraversa un secolo di calcio argentino, restituendone il ritmo, il pathos e le contraddizioni. In quelle pagine c’è molto di più del resoconto di partite o di gesta tecniche: c’è l’anima di un popolo, la tensione tra politica e pallone, la malinconia delle periferie, la forza del mito. C’è il tango, la milonga, la strada, l’identità. E soprattutto c’è la firma di Federico Buffa, che riesce a trasformare ogni dettaglio in racconto, ogni aneddoto in immagine. Non a caso lui è, indiscutibilmente, uno dei principali narratori sportivi contemporanei.
Ha uno stile riconoscibile, costruito proprio sull’effetto evocativo, sul ritmo della parola. La sua forza sta nel modo in cui riesce a trasformare un fatto sportivo in una narrazione ricca di riferimenti culturali, suggestioni, connessioni. Ecco perché il sogno, neanche troppo nascosto, sarebbe quello di vedere la storia del calcio da tavolo raccontata da lui. Perché saprebbe certamente restituirne la dimensione più profonda, giocando, come fa spesso, con la memoria, con il tempo, con l’identità. E perché, in fondo, questo disciplina e i suoi appassionati hanno bisogno anche di una narrazione che sappia affascinare, coinvolgere e incuriosire.
Adesso è il momento di porti una domanda che nessuno ti ha fatto ma a cui avresti sempre voluto rispondere.
Forse nessuno mi ha mai chiesto davvero cosa significhi raccontare uno sport che non ha riflettori addosso. Fare comunicazione per il calcio da tavolo significa spesso lottare contro l’invisibilità, contro l’idea che ciò che non genera audience non abbia valore. E invece io credo che ci sia una forma di giornalismo sportivo – e quindi di racconto – che ha il dovere di dare spazio anche a ciò che si muove ai margini, nelle palestre, nei palazzetti, nelle sale tornei, nelle comunità, e che continua, imperterrito, nel proprio percorso di diffusione e di crescita. Raccontare il calcio da tavolo è diventato, per me, un modo per riaffermare che ogni storia merita attenzione, se è vera. Che ogni sport merita rispetto, se ha un’anima. E il calcio da tavolo, di anima, ne ha da vendere.