La redazione del sito Recensione Libro.it intervista lo scrittore Gianluca Puliatti autore del libro “A me la parola! Gioie e dolori di una vita da cani”
Dovendo riassumere in poche righe il senso del tuo libro “A me la parola! Gioie e dolori di una vita da cani”, cosa diresti?
Il libro è nato per provocare e sensibilizzare sia chi vive con uno o più cani cane sia chi non ne ha. Noi proprietari di cani siamo continuamente bombardati, in particolare sui social media, da messaggi, preziosi consigli e indicazioni su come gestire al meglio il cane da parte degli “addetti ai lavori”. Intendo educatori, addestratori, veterinari ecc. Oggi anche influencer che potrebbero sfruttare la loro notorietà in modo più educativo e colto senza creare tanta confusione o contenuti inutili. Mi sono chiesto a un certo punto: “… E invece il cane cosa ne potrebbe pensare di noi e del mondo in cui vive? Cosa sarebbe in grado di raccontarci se avesse veramente il dono della parola? In fondo tutti noi parliamo continuamente con loro credendo ci possano capire alla lettera”.
Da dove nasce l’ispirazione che ti ha portato a scrivere di quello che pensano, vivono e non dicono i nostri amati cani?
Quattro anni fa, durante la pandemia, abbiamo avuto molto tempo per riflettere. Noi proprietari di cani avevamo la “fortuna” di poter uscire di casa per fare un breve giretto insieme ai nostri amici a 4 zampe. In quei momenti, ma anche in casa vivendo ogni minuto insieme a loro, ho avuto la possibilità di osservarli attentamente. Insieme alla mia compagna, inoltre, avevamo già “lavorato” in un campo addestramento insieme ai nostri cani per 7 anni circa imparando tantissimo e ponendoci nello stesso tempo numerosi quesiti.
Ho conosciuto negli anni centinaia di cani, di indole e caratteri differenti, e ovviamente i loro rispettivi padroni. Ogni cane ha una propria storia. Contemporaneamente ho approfondito la cinofilia leggendo libri, anche romanzi, ma soprattutto saggi di etologia, psicologia sulla cognizione del cane. Ho approfondito concetti tramite il web, i social media e le riviste dedicate. Mi sono posto quindi altre domande e ho provato a interpretare, anche dal mio punto di vista personale, alcuni loro atteggiamenti e pensieri.
Cosa vorresti che i lettori riuscissero a comprendere leggendo le tue parole? Quale segno vorresti lasciare in loro?
Mi piacerebbe che tutti noi riuscissimo a comprendere meglio il cane, le loro necessità, bisogni e diritti per dare loro una vita migliore. Spesso, senza accorgercene, li amiamo certamente, ma nel modo sbagliato.
C’è qualcosa che avresti voluto aggiungere al libro, quando lo hai letto dopo la pubblicazione?
Scrivere questo libro è stato estremamente impegnativo, soprattutto i momenti di ricerca delle fonti, lo studio e la verifica. Senza contare le innumerevoli volte in cui è stato modificato e corretto. Ho lasciato da parte alcune storie che non sono riuscito a completare, un po’ per stanchezza, un po’ per motivi editoriali. Spero un giorno di poter fare una nuova edizione con questi racconti lasciati nel cassetto.
Se dovessi utilizzare tre aggettivi per definire “A me la parola! Gioie e dolori di una vita da cani”, quali useresti?
Crudo, ironico, commovente.
Perché credi si debbano leggere il tuo libro?
Il libro potrebbe essere una spinta ad approfondire la conoscenza del cane. Obiettivamente ne sappiamo ancora molto poco.
Quali sono i tuoi prossimi progetti in fatto di scrittura?
Il mio lavoro è un altro, sono un grafico editoriale di una casa editrice, faccio libri, ma non per me. Ho una grande passione per la cinofilia. Come suddetto, scrivere un libro è davvero impegnativo. Ho in mente alcune idee come per esempio alcuni racconti lasciati, ahimè, in disparte, forse solo momentaneamente. Ho però un’altra idea simile e più ironica sul modo in cui il cane si è avvicinato a noi, dalla preistoria ad oggi. Vedremo…
Qual è il libro che hai letto quest’anno che ti ha più colpito e consiglieresti?
Al momento sono ancora alle prese con un libro datato, ma che non ho mai avuto modo di leggere e che mi sta appassionando: Charles Darwin: Viaggio di un naturalista intorno al mondo.
Adesso è il momento di porti una domanda che nessuno ti ha fatto ma a cui avresti sempre voluto rispondere.
Secondo te ci sono troppi cani?
Sì, e la colpa ricade ovviamente su di noi. Questa affermazione, pur potendo scatenare reazioni emotive, serve a porre l’accento su un problema serio e complesso: la gestione della popolazione canina. Da un lato, assistiamo a un’idealizzazione del cane come compagno fedele e membro della famiglia. Dall’altro, però, ci troviamo di fronte a situazioni di maltrattamento, abbandono e sofferenza. L’affermazione “ci sono troppi cani” può sembrare crudele, ma in realtà può invitare a riflettere sulle cause profonde di questo fenomeno e a cercare soluzioni efficaci.
Escludendo alcuni allevatori professionisti con una particolare attenzione alla selezione e al benessere del cane, spesso mi chiedo cosa realmente possa spingere le persone a far accoppiare il proprio cane, che in realtà non ne è minimamente interessato. La situazione è molto più complessa e coinvolge una serie di fattori sociali, culturali ed economici. Ovviamente non si tratta solo di un problema numerico, ma anche di una questione di benessere animale e di nostra responsabilità. Quel che manca in molti di noi è una cultura cinofila che possa migliorare la situazione: imparare a conoscere il cane prima ancora di adottarlo, chiedere a noi stessi se saremo veramente in grado di prendercene cura; promuovere la sterilizzazione e favorire l’adozione in canili; educare al rispetto degli animali fin dalla tenera età; contrastare in modo efficace l’abbandono… Insomma la risposta non è semplice e richiede un impegno collettivo per trovare soluzioni sostenibili.