Intervista scrittore Nicola Feruglio

Intervista al poeta Nicola Feruglio.
Nicola Feruglio
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La redazione del sito Recensione Libro.it intervista lo scrittore Nicola Feruglio autore del libro “Figli di un’antica vendemmia”

Dovendo riassumere in poche righe il senso del tuo libro “Figli di un’antica vendemmia”, cosa diresti?

“Figli di un’antica vendemmia” è un testo che si articola come un “rito”, come un progetto di vita trans-personale, un testo che per mezzo di un doppio binario poetico/prosastico, mette in atto uno “sconfinamento” oltre la credenza che vi sia un soggetto dato, capace di percepire oggettivamente il mondo ed in grado di fornire una dimostrazione storico/scientifica della realtà; uno “sconfinamento”, oltre la chimera digitale e tecnocratica, che approda a quella profusione cosmica e prelinguistica che le culture umane (del passato e del presente), non hanno mai smesso di evocare con termini come: orgia dionisiaca (storicamente mal interpretata come una promiscuità sessuale), estasi coreutica, cosmovisione mapuche, effetto osservatore, campo totale relazionale, entanglement quantistico, ed utilizzando il titolo di una mia conferenza del 2020 (disponibile on-line), potremmo dire, quel “Noi generatore di forme”, che immerge in un dialogo non-locale pionieri del sapere come: Plotino, Arne Næss, Rumi, Jung, Lenore Kandel, Erwin Schrödinger, Abari, Pasolini, Julian Beck, Rainer Maria Rilke, Giorgio Colli, Gilles Deleuze, Werner Karl Heisenberg, Allen Ginsberg.

Da dove nasce l’ispirazione che ti ha portato a scrivere questo libro così articolato in cui spiritualità e filosofia mostrano la loro forza emotiva?

Questo è il mio settimo libro, e come i precedenti, anche “Figli di un’antica vendemmia”, risponde all’esigenza di “ri-poeticizzare” l’intero Vivente; decostruendo l’antropologia dominante: dualistica, meccanicistica, egoica e ciecamente tecnica, proponendo un approccio al nostro esser-ci, di tipo poetico, ecosofico, sistemico e biocentrico; il mio lavoro trae quindi linfa vitale da questo tipo di proposta gnoseologica (rimossa dalla razionalità occidentale), che esercito e propongo, sia come scrittore, che come presidente dell’associazione Antropologia Terzo Millennio; come esempio di questo intreccio di discipline, e di suggestioni antropologiche che anima la mia attività, posso citare il titolo di due poesie presenti in questo libro: “L’automa o il poeta?” e “L’insurrezione ecosofica”, in ugual misura come ulteriore esempio, posso citare il titolo di una conferenza realizzata a Buenos Aires, presso l’Istituto Italiano di Cultura nel settembre del 2016: “La coscienza quantica e l’antropologia mapuche”; plastici esempi dell’orizzonte culturale dal quale traggo anzitutto beneficio e poi ispirazione letteraria.

C’è una documentazione o una raccolta di informazioni dietro la scrittura di questo libro?

Oserei dire che questo libro (così come i precedenti) è solo una delle possibili grammaticalizzazioni dell’immane raccolta di elementi, appunti, suggestioni e concatenamenti poetico-politici, prodotti nel corso della scrittura del testo; l’anticamera di ogni mio libro, è un viaggio di scrittura a meta indeterminata, che produce materiale per tre o quattro libri… che poi per eterogeneità dei fini, si assottiglia o si fonde in altri elementi, sintetizzandosi negli organi vitali del corpo del testo… ma che riemerge poi inevitabilmente nell’opera seguente. Come sostenne Charles Baudelaire: “L’arte è sempre un insieme di cronaca ed eternità”.

Cosa vorresti che i lettori riuscissero a comprendere leggendo le tue parole? Quale segno vorresti lasciare in loro?

Il segno che vorrei lasciare nei lettori abita in un’affermazione del grande Jerzy Grotowski, regista teatrale inventore del Teatro povero, il Teatro inteso come gnosi: “Non sono venuto a cercare qualcosa di nuovo, ma qualcosa di dimenticato”.

C’è qualcosa che avresti voluto aggiungere al libro, quando lo hai letto dopo la pubblicazione?

No, prima di presentare il testo a Fabio Croce (titolare delle Edizioni Croce), lo avevo lasciato decantare per un anno, l’avevo volontariamente dimenticato e poi riscoperto, ed ormai il manoscritto aveva raggiunto una sua organica autonomia, anche rispetto alle aspettative dell’autore.
A questo proposito Michel Foucault sostenne: “Non è l’autore che crea l’opera, è l’opera a creare l’autore”.

Se dovessi utilizzare tre aggettivi per definire “Figli di un’antica vendemmia”, quali useresti?

Estatico, coreutico, ecosofico.

Perché credi si debba leggere il tuo libro?

Perché è concepito come una tecnica dionisiaca, come un canto sciamanico, da utilizzare come antidoto alla de-realizzazione digitale e all’incubo della separatezza egoica.

Qual è il libro che hai letto quest’anno che ti ha più colpito e consiglieresti?

Quest’anno, tra i molti libri letti, ho riletto con particolare voracità: “Poesia degli ultimi americani” di Fernanda Pivano e “Nascita della biopolitica” di Michel Foucault.

Adesso è arrivato il momento di porti una domanda a cui avresti sempre voluto rispondere ma non ti è stata mai fatta.

La domanda alla quale vorrei rispondere è: perché hai scelto la metafora della vendemmia?

La risposta è la seguente: per evocare quelle creature che oltrepassano l’io autarchico, abbracciando il “Noi” estatico ed ecosofico, ho scelto il fenomeno della vendemmia per una serie di motivazioni: perché come dono di Dioniso, continua a meravigliare la coscienza degli uomini; perché è archetipo della trasmutazione; perché rappresenta la connessione con la terra; perché è il modello della festa arcaica per celebrare la vita ed infine; perché è rivelazione di un sacro che è immanente nell’intera materia… dall’uva al vino, come dal piombo all’oro.

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Recensione scritta da

Redazione - Recensione Libro.it

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