LA LIMPIDEZZA DELLA SEMPLICITÀ SUBLIMATA

Trattato poetico breve di Dario Gallo.
Dario Gallo
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Viviamo in un’epoca in cui la poesia sembra dover continuamente giustificare la propria esistenza attraverso la complessità, la rottura, la provocazione. Un’epoca in cui l’urgenza tematica, il barocchismo verbale o l’oscurità programmata vengono scambiati per profondità.
In questo panorama, scegliere una poesia che si fonda sulla limpidezza, sull’essenzialità, sulla delicatezza può apparire controcorrente. Eppure, proprio questa scelta rappresenta per me la forma più alta e coraggiosa di resistenza poetica.
La parola “semplicità” viene spesso fraintesa.

La si confonde con la povertà di pensiero, con l’assenza di tensione, con una sorta di superficialità stilistica. Ma la semplicità di cui parlo – e che sostengo – non ha nulla di ingenuo o trascurato. Essa è, piuttosto, una conquista. È il risultato di un cammino interiore e formale, un processo di sottrazione e chiarificazione, simile a ciò che in alchimia si chiamava “sublimazione”: portare alla luce l’essenza, distillare l’anima dalla materia.

Manifesto poeticoLa semplicità sublimata è una forma di bellezza raggiunta. E la sua limpidezza non è trasparenza vuota, ma profondità che non ha bisogno di oscurarsi. Questa poetica affonda le radici nella nostra più alta tradizione. Dante Alighieri, nel pieno del dominio del latino come lingua della cultura, scelse il volgare fiorentino per dare forma alla Commedia, l’opera che avrebbe segnato la nascita della letteratura italiana. Petrarca, con il Canzoniere, diede dignità universale alla lingua dell’amore, dell’intimità, del turbamento umano. Non fu solo una scelta linguistica, ma una presa di posizione antropologica ed estetica: la poesia deve essere comprensibile, vibrante, capace di toccare l’uomo nel suo vivere concreto.

Oggi, allo stesso modo, sento che la vera rivoluzione è tornare all’essenza, in un’epoca che spesso la dimentica dietro la maschera della complicazione. Una poesia non è profonda quando difficile, oscura o densa di rimandi culturali. Una poesia è profonda quando riesce a toccare l’inesprimibile attraverso parole scelte con rigore e verità. La profondità non si misura nella complessità apparente, ma nella verità espressiva che riesce a trasmettere.

Molti testi oggi preferiscono stupire, ferire, affermare. Io invece credo in una poesia che ascolta, osserva, accoglie. Che non alza la voce, ma persiste nel tempo, come una voce sommessa che continua a vibrare anche dopo il silenzio. Scegliere la semplicità sublimata non è solo una questione stilistica. È anche una scelta etica. In un mondo dominato dall’apparenza e dalla rapidità, la poesia ha il dovere di resistere. Resistere alla velocità, al rumore, al consenso immediato. Resistere anche alle mode letterarie che impongono una grammatica della sofferenza urlata, del dolore esibito, del contenuto prima della forma. La poesia non è un megafono. È una carezza lucida, un sussurro che scava.

Compongo come chi non cerca approvazione, ma riconoscimento autentico. Compongo come chi crede che la bellezza non abbia bisogno di effetti speciali, ma di tempo e di verità. Per questo non mi scoraggia l’eventuale invisibilità, né mi entusiasma la lusinga passeggera. La poesia vera – quella autentica e silenziosa – non si impone. Si offre. Non insegue il clamore. Attende.

La limpidezza della semplicità sublimata dovrebbe essere, a mio vedere, il fondamento di un nuovo modo di pensare e praticare la poesia. Una poesia che non si traveste per piacere, ma che si rivela per restare. Una poesia che non vuole conquistare, ma farsi riconoscere da chi ha occhi e cuore per ascoltarla. E, se questa via non riceverà subito premi o plausi, non importa. Perché la poesia vera non teme il tempo.

Dario Gallo, 23 marzo 2025

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Recensione scritta da

Redazione - Recensione Libro.it

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