1. Per iniziare… raccontaci qualcosa di te, qualcosa che vorresti che i nostri lettori sapessero prima di leggere “C’era una volta per sempre. Una favola che non dovrebbe mai essere raccontata”.
Non so bene come si cominci a parlare di sé stessi, faccio sempre tanta fatica quando provo a racchiudermi e a racchiudere le persone in concetti, cosa che spesso mi tocca fare visto che di professione sono psicologa. Anche in questo secondo caso, comunque, mi sforzo di “liberarle” dalle gabbie mentali che spesso si costruiscono, offrendo loro dei validi spunti . È quello che tento di fare anche con la scrittura. Mi piace affondare la penna nei vissuti delle persone, nelle emozioni, nei sentimenti. Quando scrivo divento ogni personaggio, ad esempio in questo libro sono nonna Matilda, e poi Annina, la Maestra e ogni parte dei ventisette bambini è anche un po’ mia. Proprio per questo quando scrivo, fatico e soffro. Quando però alla fine riemergo dal libro mi sento felice. Felice, in primis perché devo essere io appagata da ciò che scrivo e, credetemi, in questo sono molto esigente. E poi perché provo a immaginare qualche ipotetico lettore che si addormenta con il mio libro sulla pancia, o che si dimentica di scendere alla fermata del tram perché immerso nella lettura e deve tornare indietro. In realtà sono sempre io, solamente dall’altra parte.
2. Dovendo riassumere in poche righe la trama del romanzo “C’era una volta per sempre. Una favola che non dovrebbe mai essere raccontata” cosa diresti?
Che è la favola della vita di ognuno di noi, la metafora di un viaggio che appartiene a tutti, e anche se nel libro c’è quello dei bambini e della loro Maestra, la mamma per eccellenza, quella che protegge, rassicura e incoraggia, noi ci dobbiamo sforzare di vedere altro. Ci sono poi le voci dei bimbi e tutto quello che riescono a inventarsi per trovare un contatto con i loro parenti, i loro genitori. E sullo sfondo c’è nonna Matilda e la curiosità della piccola Annina, sua nipote, che vuole una storia non storia (di quelle che si raccontano poco ma che ci credono in tanti), e che riesce a sollecitare il ricordo al fine di scuotere un intero paese. Un paese addormentatosi sul proprio dolore, perché il gelo dell’anima non è altro che il totale di tante disperazioni. Sono arrivati, si, si dirà alla fine, e finalmente potrà ripartire anche l’orologio dell’amore, quell’orologio che si è bloccato alle 11.32 del 31 ottobre del 2002. Un giorno che doveva essere come tanti. “C’era una volta per sempre” è libro che fa bene all’anima, che dà forza, speranza, perché non bisogna dimenticare che nella vita non si perde solo in modo “estremo”, ma si perde sempre. Un sogno sfumato, un’aspettativa negata, una delusione, chi non ha sperimentato il sentimento che ne consegue e la forza che ci vuole per ricostruire la speranza. Ecco, questo libro simboleggia la speranza, e in questo senso è una favola che, invece, dovrebbe essere continuamente raccontata.
3. In questo libro si parla di un evento tragico che è accaduto in Puglia nel 2002: il crollo della scuola e la morte di 27 bambini. Quanto è stato difficile raccontare questa storia?
In realtà l’evento fa solo da sottofondo, nel senso che non si tratta di un libro autobiografico, non ci sono le storie delle persone o fatti di cronaca. I personaggi sono inventati e alcuni sono proprio fantasiosi. Raccontare questa storia e soprattutto tradurla in una “favola”, non è stato facile. Sono una madre che all’epoca dei fatti aveva una figlia più o meno dell’età d tutti quei bambini, e credo che non ci sia dolore più grande di quello di sopravvivere a un figlio. È contro natura. Anche se purtroppo i fatti, a volte, ci testimoniano il contrario. Proprio per questo ho voluto offrire un’illusione in centocinquanta pagine, pensare, per il tempo di un libro, che tutti quei bambini siano stati chiamati per una missione speciale.
4. Cosa ti piacerebbe che il lettore cogliesse leggendo il tuo romanzo?
I grandi, le persone adulte, vorrei che si soffermassero un po’ di più sui sentimenti dei bambini, su ciò che provano e quello di cui hanno bisogno. Ad esempio, il semplice accompagnare il proprio figlio a scuola, che ormai sembra un qualcosa da delegare a un nonno, una tata, è un tempo meraviglioso che non torna più. Non bisognerebbe lasciarselo sfuggire. Bisogna ascoltare i bambini per quello che hanno da dire e non solo per quello che hanno da chiedere, perché non ci dimentichiamo che in ogni persona adulta vive un bambino a credito di attenzioni. I bambini e i ragazzi, invece, possono leggere il libro come fosse una storia meravigliosa, tante storie meravigliose, come quella della luna che va a cercare la sua stella preferita, o il vecchio che accende i cuori degli innamorati e si preoccupa quando qualcuno cerca di spegnerli o…
5. Ci sono eventi che non andrebbero neanche raccontati per la sofferenza che provocano, ma è anche importante non dimenticare e fare qualcosa per evitare che la tragedia si compia nuovamente. Hai scritto questo libro con l’intenzione di far ricordare per far agire?
Ho scritto questo libro affinché tutti quei bambini non vengano dimenticati, perché “la parola parlata se ne va col vento, mentre quella scritta segue l’eternità.” È questa una dedica che ho fatto alla mamma di uno dei bambini, che mi ha ringraziato semplicemente per questo. Fra qualche anno, infatti, quando San Giuliano di Puglia rimarrà come trafiletto su qualche libro di cronaca o di storia, ci sarà sempre la mia favola, che nel frattempo spero sia diventata anche vostra, a ricordare che lì, si proprio lì, un tempo c’erano ventisette bambini e una maestra che inconsapevoli del loro destino, si recavano a scuola felici e contenti, proprio come ogni giorno. E non si può morire in quel modo. Bisogna sempre tenerlo a mente, perché ciò che si dimentica in fretta, prima o poi rischia di ripresentarsi.
6. Qual è il romanzo che ha “rivoluzionato” la tua vita conducendoti alla scrittura?
In realtà non credo ci sia un romanzo che abbia “rivoluzionato” la mia vita, io sono, se si può usare il termine, “rivoluzionata” dalla lettura. Non riesco a immaginare la mia vita senza libri, credo sarebbe di un grigiore assurdo e a me piacciono i colori. Tramite i libri io scopro mondi, persone, luoghi. Non mi basta ciò vedo, chi conosco, devo circondarmi di altro. Così come l’ispirazione, quando viene, si appiglia a uno sguardo, un paesaggio, un filo d’erba, e poi viene via che è una meraviglia. Scrivo, scrivo, fino allo sfinimento, e poi mi riposo. Perché sono stanca. Devo scrivere a penna. È un patto segreto tra me e le parole, che per nessuna ragione ho intenzione di tradire.
7. Quale libro non consiglieresti mai a nessuno?
Non credo ci siano libri che possano o debbano essere sconsigliati. Credo che ognuno scelga il cibo con cui nutrire la mente e anche se non ci troviamo d’accordo sui gusti, bisogna comunque portargli rispetto. D’altronde ci sono libri che letti in momenti diversi sembrano altri libri, così come alcuni che non ci interessano in momenti della vita e ci appassionano in altri. Consiglierei di sicuro “ C’era una volta per sempre “, perché non deluderebbe nessuno.
8. Adesso è arrivato il momento per porti da sola una domanda che nessuno ti ha mai fatto, ma a cui avresti sempre voluto rispondere…
In un ipotetico scaffale “della letteratura”, vicino a quale libro metteresti il tuo e perché?
Lo metterei vicino a “Il piccolo principe” di Antoine de Saint-Exupéry. Ad averli letti sembrano proprio fratelli e possono viaggiare tenendosi per mano per un lungo viaggio. Entrambi sono di un linguaggio semplice e penetrante e raggiungono un pubblico molto vasto, sia in termini di età che di cultura, nel senso che dopo i sei anni e fino a novanta e oltre, non ci sono limitazioni. Certo, ne “Il piccolo principe” ci sono più immagini, ma nel mio basta soffermarsi sulla copertina, è meravigliosa! Bambini-fiorellino e fiorellini-bambino che salgono e scendono da una scaletta, e poi colori e ancora colori… la vita che si rinnova. Anche questa è stata disegnata con il cuore (Maskalìs, Fiori di ottobre, 2012).