Recensione Libro.it intervista la scrittrice Talatou Clementine Pacmogda autrice del libro Basnewende
1. Dovendo riassumere in poche righe il senso del tuo libro Basnewende, cosa diresti?
Ho scritto Basnewende per farmi conoscere, cioè fare conoscere la mia cultura di origine, la vita dall’altra parte dell’oceano, ma anche per fare vedere cosa sono diventata in Italia. Per condividere la nuova vita con le prime difficoltà, le prime gioie, gli amici e quello che riserva la vita ovunque: gioia e tristezza!
2. Da dove nasce l’idea di raccontare la tua storia?
Quando sono arrivata in Italia, i primi amici che ho conosciuto all’università volevano sapere qualcosa di me. Erano curiosi il motivo del mio viaggio in Italia, forse perché ero l’unica nera alla Normale quell’anno. Spesso le cose che mi chiedevano girava intorno al percorso di studi, perché loro volevano sapere come si studia in Africa. Si chiedevano come avevo fatto per arrivare al dottorato da un posto dove avevano sentito dire che la vita è difficile.
Raccontavo riassumendo un po’. Alla fine di ogni mio racconto, qualcuno finiva per dire: “Tu devi scrivere”. Promettevo ogni volta che avrei scritto. Però non iniziavo mai. Poi un giorno sistemando un cassetto del mio comodino, ritrovai il mio passaporto scaduto. Il primo della mia vita. Riguardai il visto d’ingresso in Italia e scrissi un post su Facebook raccontando il mio primo viaggio verso l’Italia. Anche lì mi dissero che dovevo scrivere.
Un’amica di mio marito che sapeva di un concorso letterario mi diede il contattato degli organizzatori e mi chiese di scrivere qualcosa. La vera spinta mi è venuta quando la cugina di mio marito, che insegna in una scuola primaria, mi disse che aveva stampato i miei racconti che mettevo su Facebook e li aveva fatti leggere e commentare ai suoi alunni.
Aggiunse poi che questi bimbi insistevano per conoscermi di persona. Andammo a Bari a dicembre del 2017 per incontrarli. Fu un giorno emozionante, che non dimenticherò. Mi trattavano già come una scrittrice e mi fecero promettere di scrivere un libro. Le promesse fatte ai bambini vanno mantenute e così quando tornai a casa quel giorno, mi mise al computer e non mi fermai più fino alla fine del racconto.
Seconda parte intervista
3. Cosa vorresti che i lettori riuscissero a comprendere leggendo le tue parole? Quale segno vorresti lasciare in loro?
Vorrei che chi mi legge sappia che gli esseri umani sono tutti uguali. Vorrei che attraverso la mia storia, i lettori riescano a capire che nessuno è cattivo a prescindere. Nessuno è da odiare e respingere soltanto perché è originario di un Paese diverso dal suo. Mi piacerebbe far capire che un essere umano è un essere umano nonostante le differenze apparenti.
Ho letto di tutto sugli immigrati, soprattutto sull’Africa e gli africani, cose che mi hanno addolorato tanto. I pregiudizi sono tanti e infondati. Ho pensato che spetta a noi africani presentarsi e presentare le nostre abitudini che non sono diverse da quelli degli altri: abbiamo i nostri buoni e i nostri cattivi, abbiamo una morale e una cultura, abbiamo i nostri ricchi e i nostri poveri (anche se gli ultimi sono più numerosi), sentiamo e risentiamo le stesse cose che conoscono gli altri popoli. Non siamo una razza a parte perché siamo neri.
Vorrei che questo racconto aiutasse a demolire i muri e fare da ponte. Ho osservato attraverso i social che l’Africa è poca conosciuta e soprattutto giudicata severamente da gente che parla senza argomenti plausibile. Non sono l’Africa, però vengo dall’Africa e per questo volevo far capire, attraverso una testimonianza vera, come si vive nel mio piccolo e povero paese di origine.
4. C’è qualcosa che Talatou Clementine Pacmogda avrebbe voluto aggiungere al libro, quando lo ha letto dopo la pubblicazione?
Prima che fosse pubblicato ho riletto e ho capito che i lettori avrebbero fatto tante domande. Tipo perché cominciare il racconto dalla laurea? Prima cosa era successo? Dovevo aggiungere qualcosa però non l’ho fatto perché altrimenti il libro sarebbe diventato un’enciclopedia. Questo racconto doveva essere l’ultimo dei miei e invece è stato il primo. Ho pensato di spezzare il racconto. Quindi va bene così. Il resto arriverà.
5. Se Talatou Clementine Pacmogda dovesse utilizzare tre aggettivi per definire Basnewende, quali userebbe?
Una domanda difficile. Di solito sono i lettori a qualificare quello che leggono. Però visto che la domanda è stata posta a me provo a rispondere arrossendo (ahaha!): autentica, allegra, commovente
Terza parte intervista a Talatou Clementine Pacmogda
6. Perché credi si debba leggere il tuo libro?
Penso che si tratti di libro che permette di interrogarsi sul valore delle piccole cose della vita. Permette di non dare per scontato quello che abbiamo nella nostra vita. È un libro che non dice che bisogna accontentarsi di quello che si ha, perché l’umano cerca sempre di avere di più, però di non sottovalutare quello che abbiamo, ma di usare ciò che è nostro come base e affrontare il resto con calma e serenità.
Il mio è un libro che dimostra che solo la perseveranza e l’ottimismo portano lontano e non la rabbia e il colpevolizzare tutti. Direi che mette l’accento sulla positività della vita. Ho sempre provato a trovare il lato positivo per vivere la felicità con le piccole gioie.
7. Hai nuovi progetti? Stai scrivendo un nuovo libro? Puoi anticiparci qualcosa?
Come dicevo prima, mi sono accorta che mancava un pezzo al racconto della mia vita. Il pezzo più doloroso: l’infanzia. Per via del concorso letterario al quale volevo partecipare che era organizzato dall’Archivio diaristico Nazionale di Pieve, che aveva un termini, ho scelto di raccontare solo la parte della mia vita che riguarda l’Italia.
Il concorso si intitola “DIMMI” (Diario Multimediali Migranti). Ognuno poteva scrivere della sua vita nel Paese di origine o di quella del nuovo Paese, che è l’Italia. Io volevo parlare di mio figlio perduto e di conseguenza questo mi avrebbe fatto parlare della mia vita in Italia.
Però siccome spesso la gente mi ha chiesto il motivo della mia venuta in Italia, allora sono tornata a parlare degli ultimi tre anni di vita in Burkina Faso prima del viaggio verso l’Italia per poi raccontare della mia nuova vita.
Quando nemmeno sapevo che il mio primo racconto sarebbe stato pubblicato da un autore, ho cominciato a scrivere il secondo.
Ho vinto il primo premio del concorso DIMMI categoria donne ma non potevano pubblicare tutto il racconto. Hanno preso una parte che hanno pubblicato in un’antologia insieme ai racconti di tutti i finalisti. Il passo successivo era trovare un editore che accettasse di pubblicare un racconto di una scrittrice di madrelingua diversa di quella italiana.
E allora mentre cercavo di far diventare un libro Basnewende, cominciai a scrivere della mia infanzia. Lo mandai al concorso Nazionale Saverio Tutino, quella volta non per stranieri ma per italiani perché nel frattempo ero diventata italiana.
Sono entrata nella lista d’onore però non si sa ancora se sarà pubblicato. È un raccontato della mia vita dalla nascita fino alla seconda media. Racconta soprattutto il percorso di studi che è stato laborioso e pieno di ostacoli, ma anche dei momenti di gioia che arrivavano a volte come miracoli.
8. Qual è il romanzo che hai letto e ti ha più colpito emotivamente in quest’ultimo anno?
Quest’anno ho letto poco perché preparavo diversi concorsi. Ho solo letto vari libri di normative su vari ambiti professionali. Però qualche romanzo sono riuscita a leggere. Mi hanno colpito emotivamente tanti e non riesco a citare uno solo. Ne cito almeno quattro: “Io Khaled vendo uomini e sono innocente” di Francesca Mannocchi, “Il confine tra noi” edito da Terre di Mezzo, “Ciò che inferno non è” di Alessandra D’Avenia, “Future” edito da Effequ. Il secondo e l’ultimo sono antologie che hanno raccolto testimonianze di vite molto interessanti da conoscere. Fra Mannocchi e D’Avenia, non saprei dire quale mi ha colpito di più.
9. Quale libro Talatou Clementine Pacmogda non consiglierebbe mai a nessuno?
Non mi è ancora capito un libro che non consiglierei. Se esiste uno da non leggere saranno quelli di orrore che istigano al pessimismo e che fanno vedere l’umano come potenzialmente cattivo e forse quelli che non fanno altro che far valere l’aspetto carnale dell’umano. L’umano è un miscuglio di tutto e quindi non è né solo cattivo né solo buono, né solo carne e piacere, ma anche spirituale e capace di controllare i suoi istinti naturali.
10. Adesso è arrivato il momento per porti da sola una domanda che nessuno ti ha mai fatto, ma a cui avresti sempre voluto rispondere…
Cosa faresti se fossi fra i potenti del mondo?
Eliminerei tutte le fabbriche di armi che portano dolore e tristezza nel mondo. Li trasformerei in fabbriche di materiali per la scuola, di mattoni per costruire le scuole e le case per chi ne ha bisogno. Le armi non ci servono, non ci sono mai servite. Ci hanno solo distrutto e chi li fabbrica lo sa. Si sa che se si vendono le armi, le persone le useranno per fare del male, però chi li fa li promuove, cerca nuovi mercati, nuovo modi per vendere meglio e migliora pure la tecnologia per distruggere tutto, ma non casa sua. Le armi sono una delle manifestazione peggiore dell’egoismo e della crudeltà.